42. Centesimus Annus: le economie avanzate non possiedono i criteri che permettono lo sviluppo e la promozione della vera qualità della vita

L’autonomia e Papa Giovanni Paolo, al n. 36 della Centesimus Annus, sviluppa una riflessione relativa alle caratteristiche proprie delle nuove e ricche economie mondiali, sottolineandone alcuni elementi critici che rischiano di offuscare la legittima ricerca della qualità della vita. Se infatti l’uomo per numerosi secoli ha soddisfatto i propri bisogni a partire dalle necessità corporee e naturali, nelle moderne economie la parola bisogno deve essere ricompresa all’interno di una riflessione che non può accontentarsi di essere ridotta al semplice miglioramento della vita. Occorre infatti confrontarsi con le enormi possibilità tecniche e tecnologiche di cui l’uomo dispone tanto da “sottolineare le nuove responsabilità ed i pericoli connessi con questa fase storica” (n. 36). Così Papa Giovanni Paolo II nella Centesimus Annus del 1991. Scambiare la ricerca della qualità della vita con l’insorgenza o addirittura l’induzione di nuovi bisogni significa giocare sporco.

Interessante a tal proposito il passo in cui il Papa afferma che “attraverso le scelte di produzione e di consumo si manifesta una determinata cultura, come concezione globale della vita. È qui che sorge il fenomeno del consumismo”. La domanda centrale: quale è il modello di uomo che guida la società dei consumi? Quanto questo modello è compatibile e coerente con quello che invece propone la fede cristiana? Ecco che emergono le vere e profonde contraddizioni delle economie ricche e moderne. La risposta del Papa: “si possono creare abitudini di consumo e stili di vita oggettivamente illeciti e spesso dannosi per la salute fisica e spirituale (…)”. La formazione di una matura personalità è messa a serio rischio dai messaggi culturali e le abitudini ad essi collegate che la società dei consumi invia, soprattutto alle giovani generazioni. Il primato dello spirituale non è riconosciuto, al contrario le dimensioni materiali e istintive risultano più valorizzate e “rinforzate” con “contorno” di bisogni indotti. È la visione integrale sull’uomo, il rispetto della sua apertura al trascendente che le economie ricche mortificano. Economie che non si pongono certo il problema delle responsabilità del mondo che costruiscono, tutt’altro, è proprio questo lo stile che favoriscono, il consumo del tutto e subito senza preoccuparsi del futuro. Una visione antropologicamente lontana e inconciliabile con il cristianesimo. “È, perciò, necessaria ed urgente una grande opera educativa e culturale, la quale comprenda l’educazione dei consumatori ad un uso responsabile del loro potere di scelta, la formazione di un alto senso di responsabilità nei produttori e, soprattutto, nei professionisti delle comunicazioni di massa, oltre che il necessario intervento delle pubbliche Autorità”.

Il fenomeno più aberrante riguarda la diffusione di un tipo di consumismo che rende facile usufruire di un “prodotto” che con facilità sfrutta la fragilità dei deboli offendendone la dignità perché invece di occuparsi della loro crescita umana e spirituale si punta a trasformarli in consumatori. È il caso della diffusione della droga e della pornografia. “(…) la scelta di investire in un luogo piuttosto che in un altro, in un settore produttivo piuttosto che in un altro, è sempre una scelta morale e culturale”. Accanto a questa questione ne emerge un’altra direttamente collegata, quella ecologica: “L’uomo, preso dal desiderio di avere e di godere, più che di essere e di crescere, consuma in maniera eccessiva e disordinata le risorse della terra (…) Egli pensa di poter disporre arbitrariamente della terra, assoggettandola senza riserve alla sua volontà, come se essa non avesse una propria forma ed una destinazione anteriore datale da Dio, che l’uomo può, sì, sviluppare, ma non deve tradire. Invece di svolgere il suo ruolo di collaboratore di Dio nell’opera della creazione, l’uomo si sostituisce a Dio e così finisce col provocare la ribellione della natura, piuttosto tiranneggiata che governata da lui”.

Dove finisce lo stupore e la bellezza di fronte al creato ? …. si trasforma in sfruttamento e distruzione. Quale stato d’animo celiamo quando l’uomo compie lo scempio del creato negandosi la possibilità di leggere la mano invisibile del Dio vivente e creatore? Quanto le nuove economie, quelle vincenti e che magari esportano anche la democrazia, sono davvero e autenticamente orientate alla salvaguardia dell’uomo e del pianeta? “Si avverte in ciò, prima di tutto, una povertà o meschinità dello sguardo dell’uomo, animato dal desiderio di possedere le cose anziché di riferirle alla verità”.