Quella zucca vuota

Halloween bussa alle nostre porte, con il suo carico di inquietanti banalità. Questa festa d’importazione, paganeggiante e con un certo retrogusto per la morte e l’occulto non piace alla Chiesa. Il problema è se possiamo farci qualcosa.

Ormai da un decennio – anche se non sembra vero che sia passato tutto questo tempo – nei primi giorni di novembre si festeggia Halloween, festa delle zucche vuote, degli spiriti, un po’ in maschera, un po’ mangereccia (dolcetto o scherzetto), che piace ai bambini ma anche ai genitori e ai ragazzi più grandi.

Importata da oltreoceano, forse di origini cristiane, prima ancora pagane, riesumata dalla nostra società secolarizzata e consumistica, stigmatizzata dai media cattolici e dalla Chiesa, giustamente, come estranea alla nostra tradizione e alla nostra cultura, si diffonde sempre più e in modo capillare e incisivo.

Ormai siamo al punto che nelle scuole dell’infanzia ed elementari si cominciano a preparare, a partire dai primi giorni di scuola, i costumini di questa festa e il resto degli oggetti annessi e connessi, al punto che si dirà: “si è sempre fatto così”.

Impossibile tornare indietro, ficchiamocelo in testa: nella società globalizzata e secolarizzata non è e non sarà più possibile bloccare niente che abbia il sapore dell’evasione, del divertimento, del consumo di cibi, ma soprattutto dell’esorcizzazione di pensieri come la morte, il giudizio per le azioni compiute, la punizione o il premio eterno.

La Chiesa non ha più e non avrà più il monopolio della verità; e questo già si sapeva da un pezzo. Ma non avrà più nemmeno la possibilità di indignarsi quando si tratterà di mettere i puntini sulle “i”, su quegli argomenti che un tempo erano solo suoi.

L’auctoritas in materia di fede, di morale e di costumi sarà presto un nostalgico ricordo. Non restano che due possibili atteggiamenti: o arroccarsi su posizioni obsolete che finiscono per risultare ridicole e anacronistiche, o accogliere ogni istanza che viene dal mondo (come sta facendo il Papa), ma con il rischio di essere interpretati, e perfino di essere, relativistici e quindi non incisivi, in pratica inutili.

Ma chiediamoci una cosa molto semplice. Il ponte dei Santi o dei morti, come viene chiamato pure a seconda delle prospettive, soprattutto dalla riforma liturgica in poi, deprivato giustamente di tutti gli aspetti devozionistico-popolari, ormai per la nostra gente cosa rappresenta, se non due giorni di Messe, più o meno ben dette?

A volte abbiamo la sensazione, noi semplici fedeli seduti tra i banchi delle chiese a partecipare alle Messe, che non si tratti della centralità di un sacramento, ma della centralità di un ministro di culto, che non si tratti di un messaggio attraente, ma di una dottrina inquietante e triste. E ci chiediamo che cosa stiamo a fare e se non sia meglio andarcene in uno dei tanti mercatoni o outlet a fare shopping.

Che cosa faccio la sera della vigilia del 31 ottobre? Me ne sto sul divano a girarmi i pollici o vado alla festa di Halloween? Che cosa mi è stato proposto in alternativa in quasi cinquant’anni? Niente!

Non è facile trovare una via d’uscita, né piste pastorali che possano essere d’aiuto; certamente avverrà quello che è accaduto nella storia, ma al rovescio. Mentre in tempi in cui la Chiesa era forte come soggetto politico-sociale, essa stessa è riuscita a cristianizzare feste pagane o di altre provenienze religiose, nel prossimo futuro avverrà che le feste religiose, soprattutto cattoliche, verranno inglobate, nella migliore delle ipotesi, se non addirittura svuotate del loro significato, per riempirle di altri contenuti a cura di forze non identificabili, emergenti dal tessuto sociale. Quando accadrà, allora, in quel giorno (dies illa), non resterà che reintrodurre il famoso Dies irae, quale canto disperato prima dell’Apocalisse? O ci accontenteremo, mesti, di biascicare il De profundis?

Possiamo solo tentare, nel frattempo, di leggere le istanze del mondo e interpretarle con quella compassione un po’ relativistica e un po’ qualunquistica, che potrebbe aiutarci a proporre in modo nuovo il messaggio sempre vivo del Vangelo.