Uruguay, dove la secolarizzazione ha stravinto

Viaggio nel Paese più laicizzato e agnostico dell’America Latina. Le radici dell’estrema laicità vanno ricercate nell’Ottocento e nell’incontro con l’illuminismo e la massoneria. Poi la divisione dall’Argentina ha fatto il resto. Prima legge sul divorzio nel 1917. Ma pur nella divisione assoluta fra Stato e Chiesa, gli studiosi evidenziano la spiritualità popolare. Un Paese in crescita economica da 11 anni.

Gli osservatori internazionali considerano l’Uruguay il Paese più secolarizzato dell’emisfero occidentale e meridionale. Se ne parla come il Paese più agnostico dell’America Latina e si afferma che i cattolici rappresentano solo il 41% della popolazione. Comunque, tra i 3,3 milioni di abitanti dell’Uruguay, esiste un’alta proporzione (60%) che dichiara di professare una religione, nonostante i bassi livelli di attività religiosa che emergono dal confronto con altri Paesi della regione. Tra i più attivi, i protestanti. Gli agnostici, più del 30% della popolazione.

L’Uruguay è uno Stato laico.

È stato il primo Paese dell’America Latina a consolidare, nella Costituzione del 1919, la separazione della Chiesa dallo Stato ma il processo di secolarizzazione era iniziato ancora prima, nel 1861, con la sottrazione dei cimiteri alla giurisdizione ecclesiastica e la non obbligatorietà dell’istruzione religiosa nelle scuole. Nel 1885 si stabilì che il matrimonio civile dovesse precedere il matrimonio religioso. Nel 1907, ottanta anni prima che in Argentina, l’Uruguay approvò una legge sul divorzio e nel 1913 il divorzio con la sola volontà della donna. Inoltre in Uruguay si eliminò il vicariato castrense e la partecipazione religiosa nelle cerimonie militari. Secondo i risultati dell’Inchiesta “Religione e Religiosità”, realizzata dal dipartimento di economia della Facoltà di scienze sociali (Decon) dell’Università della Repubblica, nel 2008, due uruguayani su tre sono contrari alla partecipazione dei leader religiosi nella vita politica del Paese e alla sua governabilità. Un dato che dimostra quanto radicato sia il concetto di laicità nella cultura del Paese. Tra quelli che meno si oppongono all’intervento della Chiesa nella vita politica figurano quanti hanno solo un’istruzione elementare o sono analfabeti. Quanto più formati – si conclude – tanto più critici della religione e del suo ruolo nella vita sociale.

L’alleanza laicista di anglo-francesi, massoni e garibaldini.

Secondo quanto afferma Hernan Patiño Mayer, politico cattolico già ambasciatore argentino in Uruguay e presso l’Onu, “l’evoluzione politica dell’Uruguay ha molto a che vedere con questa situazione. L’Uruguay e l’Argentina formavano un’unità politica, sociale, e religiosa ma dopo la sconfitta del progetto confederato di Artigas su entrambe le rive del ‘Río de la Plata’, e dopo l’indipendenza e la Costituzione del 1830, iniziò un processo di crescente differenziazione, rallentato dall’esterno da parte della Gran Bretagna e all’interno, dalle borghesie commerciali legate ai rispettivi porti”. “A contribuire alla laicizzazione dell’Uruguay – aggiunge Patiño Mayer – sono stati il partito Colorado, affine alle idee dell’illuminismo razionalista europeo che erano rappresentate dai commercianti montevideani, da un’importante colonia anglo-francese e dalle forze garibaldine presenti nel Paese. All’azione di questo ampio fronte si aggiunse l’attiva e poderosa incidenza della massoneria perché molti dei capi del partito Colorado, gli esiliati argentini, i membri delle colonie anglo-francesi e lo stesso Giuseppe Garibaldi, erano attivi militanti massoni e non erano disposti a condividere il potere politico con la Chiesa cattolica”.

Il ruolo del partito Colorado.

“Fu nel corso del governo del massimo leader del partito Colorado, José Batlle y Ordoñez, che si presero in Uruguay le decisioni più audaci e durature in materia di limiti tra il potere dello Stato e la Chiesa”, afferma l’ambasciatore Patiño Mayer. Va ricordato quanto diceva il giurista ed ex ministro degli Affari Esteri uruguayano, Héctor Gros Espiell: “Uno dei maggiori sostenitori della separazione definitiva è stato José Batlle y Ordoñez, la figura più importante dell’Uruguay nel secolo XX. Lo stato laico è forse una delle conseguenze dello ‘Stato Batllista’, quello in cui si convertì l’Uruguay all’inizio dello scorso secolo”. “Per ragioni culturali, sociali e politiche, l’Uruguay ha mantenuto storicamente la Chiesa lontana dalle decisioni politiche, proteggendo le sue istituzioni ma anche la Chiesa del concubinato con il potere, nonostante non sia stata quest’ultima l’intenzione dei difensori della laicità”, conclude Patiño Mayer.

Quale laicismo.

Il ministro Gros Espiell sottolineava, nei suoi lavori, l’esempio del laicismo dell’Uruguay perché – secondo lui – non aveva mai avuto un carattere antireligioso o anticattolico ed era legato all’ideologia democratica, ai diritti umani, alla libertà, alla tolleranza, alla solidarietà sociale e alla non discriminazione. “La laicità nella Costituzione uruguayana – e non importa ciò che il laicismo può essere in altri sistemi giuridici o ideologici – significa, anzitutto, che lo Stato non possiede, né sostiene, né insegna religione alcuna. Ma la Costituzione – aggiungeva Espiell – ha alta considerazione della religione – di tutte le religioni – come elemento positivo per garantire i valori su cui si fonda il sistema ideologico, politico e istituzionale della Repubblica. È per questo motivo che in Uruguay la laicità non comporta assenza di valori positivi. Al contrario, si fonda in essi, li difende e li promuove”. “La nostra laicità, la laicità costituzionale dell’Uruguay – diceva Espiell – è tolleranza, comprensione e rispetto del fenomeno religioso. È essenzialmente libertà”.

Spiritualità vs. religione.

In Uruguay sono molte le persone che, senza appartenere ad una religione particolare, hanno un senso di spiritualità che li fa credenti perfino nell’aldilà. Si potrebbe parlare di una “tendenza alla spiritualità”. Questa, una delle conclusioni del lavoro sui risultati dell’inchiesta già citata, realizzata da Zuleika Ferré, Maximo Rossi e Mariana Gerstenbluth, dell’Università della Repubblica. Quando si domanda al sociologo Nestor Da Costa, specialista in sociologia delle religioni, se quella uruguayana è o no una società religiosa, egli risponde che “tutto dipende da come definiamo la religiosità”. “Se definiamo la religiosità come professare un culto, la nostra non è una società molto religiosa. Ma è diverso se intendiamo la religiosità come uno spazio di rapporto con la trascendenza, le domande ultime della vita… In questo senso sì, siamo una società religiosa. E se guardiamo alle grandi feste della religiosità popolare, non ci sono mai meno di 100mila persone… Certo che esiste una caduta nei sacramenti, nel culto, ma non esiste invece una riduzione nelle credenze”. Secondo quanto afferma Da Costa, nel contesto di un’indagine da lui effettuata, esistono in Uruguay più di 70 religioni, tra cattolici, protestanti ed ebrei fino a spiritisti, maomettani e buddisti, e cresce costantemente il fenomeno afrobrasiliano, tanto che le attività del 2 febbraio, nelle spiagge, in onore della diosa “Iemanjà” vengono promosse nelle guide turistiche dell’Uruguay.

Si sta riformulando la forma di credere.

“Veniamo da un modello praticante, un modello inventato nel Concilio di Trento – precisa Da Costa – che era legato ad un’epoca nella quale non c’era mobilità: la gente era legata ad uno spazio di terra, con molti sacerdoti nella parrocchia, con un culto retto dall’istituzione… Ma oggi siamo in un mondo decentralizzato, che mobilita la gente da una parte all’altra, per cui andiamo verso un modello pellegrino, secondo il quale ognuno costruisce la sua religiosità pellegrinando e pellegrinando perfino tra diverse religioni, non già con una pratica fissa, stabile, diretta da un’istituzione… Non esiste società al mondo senza religiosità. Quel che succede è che il modello praticante oggi non è possibile, eccetto per un piccolo nucleo della popolazione”. Questo che a molti potrebbe sembrare una prova del “relativismo” presente nella società attuale, al sacerdote salesiano belga André Boone, che abita in Uruguay da più di trent’anni fa dire che si tratta di una forma di “grande rispetto per il credo degli altri”. “Perfino le sette e i culti evangelici meritano nell’Uruguay questo rispetto, fortemente radicato nella cittadinanza e nella propria valutazione della libertà”, aggiunge padre Boone. Questa in conclusione la realtà della religiosità in Uruguay, un Paese che attraversa l’undecimo anno di crescita economica, che nel 2013 è stato scelto da “The Economist” come migliore nazione dell’anno e che entra in un periodo elettorale dopo avere approvato tre leggi su questioni ancora oggetto di polemiche negli altri Paesi della regione (aborto, matrimonio omosessuale e libero consumo di marjuana).