«Azione Cattolica, l’impegno per essere una vera Chiesa accogliente». Intervista a Vincenzo Danieli, delegato regionale Ac

Con l’assemblea e il consiglio regionale che si è svolto il trascorso weekend ad Anagni si è concluso il triennio della delegazione di Ac del Lazio a guida di Vincenzo Danieli.  Sabato, la tavola rotonda con Riggio e Zanotelli sul tema “Ero forestiero e mi avete accolto”.

Danieli, come mai un tema così “scottante” proprio nel momento associativo di cerniera tra un triennio e l’altro?

La riflessione che la Delegazione regionale vuole portare avanti e proporre a tutte le presidenze diocesane non può non tener conto di quei temi che ogni giorno interrogano la vita. Il tema delle migrazioni e dell’immigrazione non può essere a noi estraneo e non può essere letto, compreso, affrontato in termini di urgenza ed emergenza. Al contrario, deve poter avere davanti a sé quella prospettiva, quel respiro che hanno costruito una grande umanità, un bel Paese e una Chiesa accogliente. Non possiamo non avere intorno a questo tema, che riguarda il senso quotidiano di quello
che siamo, un pensiero e un’azione comune capace di gesti concreti che facciano sentire l’uomo più uomo.

Nella concretezza dei percorsi e delle attività svolte in diocesi, i gruppi di Ac del Lazio hanno avuto modo di confrontarsi effettivamente con tale problematica dell’accoglienza dello straniero? Ci sono esperienze particolari svolte?

Tutta l’Azione Cattolica del Lazio è impegnata da anni nel costruire percorsi formativi che possano interrogare soci e non sui temi del bene comune: dalla legalità all’immigrazione, dalla città all’ambiente. I percorsi formativi, quando sono seri, robusti e veri, trovano risposta in due dimensioni: nella vita di gruppo e nella vita personale di migliaia di ragazzi, giovani e adulti che quotidianamente provano a dire il loro sì, a vivere la fede. Le esperienze sono diverse e innumerevoli. Ci sono giovani e adulti che da anni mettono una parte del loro tempo a servizio dell’insegnamento della lingua, ci sono anziani che vivono nei centri storici delle nostre città una integrazione naturale fatta di gesti semplici (pasti, sorrisi, chiacchierate), ci sono bambini che nelle scuole ogni giorno vivono la naturalità delle ore, degli insegnamenti. Ci sono sacerdoti che cercano di pregare insieme. Questo non significa assenza di paura o di problemi. Non tutto è stato fatto e non tutto è perfetto. Anzi. Tutto va seguito, rilanciato, proposto, messo in atto. Questa è la cifra che rende l’Ac tesa verso la vita, a tratti con fatica ma non per questo rinunciataria.

Facendo un bilancio del triennio che si conclude, si può dire che l’Ac laziale abbia attraversato una stagione significativa?

L’Ac laziale non può in alcun modo adagiarsi sugli allori, mettersi sul trono, esultare per i successi o al contrario abbattersi per le fatiche. La significatività dell’associazione è tale quando mette in campo la verità e vive alcune dimensioni in maniera sempre più forte: una formazione seria, una intensa spiritualità, una vita bella, uno stretto rapporto con il territorio. L’Ac diventa sempre
più significativa quanto più riesce a fare esperienze di fede, individuali e comunitarie in ogni terra. Piccoli centri, grandi città, campagne o periferie, tutti devono avere la possibilità di vivere quel di più che quando c’è da senso alle nostre vite. In questa stagione tante sono le associazioni che hanno lavorato in questo modo. La dimensione regionale, nella dinamica dell’Ac, alla fine è quella
sempre un po’ più “sfuggente”, trattandosi di un collegamento fra realtà diocesane comunque diverse.

Come sente l’associazione il legame con un territorio assai variegato e con una realtà pastorale un po’ frammentata? Poco sfuggente e molto reale. L’Ac cerca di vivere la realtà regionale come collegamento, strumento importante per capire le dinamiche, le umanità, le moltitudini. Quale realtà oggi non è frammentata?

Quale individuo non vive la difficoltà di tenere insieme tutto? L’Ac può essere un segno importante, una scuola di unità. Più si apre all’altro più impara a vivere l’oggi, consapevole di ciò che è stata, che è e che sarà.

Un commento finale: essere cristiani laici “in prima linea” nella regione all’ombra di Roma quale capitale del Paese e quale Sede di Pietro…

Noi dobbiamo evitare in tutti modi di vivere dentro un libro di sogni, fatto di tante parole, forse di tante buone azioni, di tante buone intensioni ma che poi poco hanno a che fare la realtà. Dobbiamo combattere in tutti i modi i tanti “io” che caratterizzano il nostro tempo e combattere la solitudine dei numeri primi con un “noi”, che non può essere uno slogan ma deve diventare
il modo di stare nelle situazioni, di abitare spazi e tempi. Dobbiamo evitare le prime file e contrapporre un pensiero forte, un popolo vero, un’azione tesa a costruire processi.
Dobbiamo vivere le nostre comunità, lavorare con i nostri pastori, costruire ponti, esser capaci di quei gesti che hanno il sapore del popolo di Dio. Dobbiamo sempre più essere uomini e donne che con passione non abbandonano la barca ma si impegnano concretamente in una grande storia. Ne ha bisogno questo tempo, ne ha bisogno questa associazione, ne ha bisogno la nostra Chiesa laziale.