96. “Caritas in Veritate”. L’economia dell’amore

La logica del dono deve trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo e anche della stessa ragione economica. «I poveri non sono da considerarsi un “fardello”, bensì una risorsa anche dal punto di vista strettamente economico».

Credere che l’economia di mercato funzioni meglio se, “strutturalmente”, si mantiene una quota di povertà e sottosviluppo, è come affermare che lo sviluppo economico ha bisogno di poveri per continuare a svilupparsi, tradendo quindi una delle mete più alte dello stesso sviluppo di mercato: l’emancipazione. È quindi una contraddizione legata alla natura stessa del mercato, una contraddizione che quindi merita di essere affrontata. Nell’Enciclica “Caritas in Veritate” la riflessione tra esigenze del mercato e presenza della povertà si fa ardua e illuminante. Pensare che il mercato persegua l’emancipazione di interi popoli, sembra affermare l’Enciclica, è cosa degna e rispettabile, ma credere che questa possa essere sostenuta da una realtà, quale è quella di mercato, che non è in grado di produrla ma solo di favorirla, è un’utopia se non un inganno.

Così il Papa: «È interesse del mercato promuovere emancipazione, ma per farlo veramente non può contare solo su se stesso, perché non è in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue possibilità. Esso deve attingere energie morali da altri soggetti, che sono capaci di generarle».

Si tratta di comprendere, come si afferma al n. 36, che la logica di mercato non può risolvere tutti i problemi sociali, tale logica deve essere invece finalizzata al perseguimento del bene comune, prima e ultima preoccupazione dell’agire politico. Per questo separare l’agire economico da quello politico è causa di gravi scompensi in quanto minerebbe alla base il «perseguire la giustizia mediante la ridistribuzione» (n. 36).

In tal senso l’agire economico non è certo demonizzato dalla Chiesa ma non deve diventare neanche il luogo in cui il più forte domina il più debole. Il mercato infatti non è una minaccia ai rapporti autentici umani, anche se «è certamente vero che il mercato può essere orientato in modo negativo, non perché sia questa la sua natura, ma perché una certa ideologia lo può indirizzare in tal senso», è la ragione oscurata dell’uomo, non lo strumento che egli usa, a produrre nefaste conseguenze.

Ecco quindi la sfida della Chiesa, sostenuta e supportata dai tanti riferimenti della sua Dottrina Sociali: «la grande sfida che abbiamo davanti a noi, fatta emergere dalle problematiche dello sviluppo in questo tempo di globalizzazione e resa ancor più esigente dalla crisi economico-finanziaria, è di mostrare, a livello sia di pensiero sia di comportamenti, che non solo i tradizionali principi dell’etica sociale, quali la trasparenza, l’onestà e la responsabilità non possono venire trascurati o attenuati, ma anche che nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità possono e devono trovare posto entro la normale attività economica. Ciò è un’esigenza dell’uomo nel momento attuale, ma anche un’esigenza della stessa ragione economica. Si tratta di una esigenza ad un tempo della carità e della verità».