Santa Barbara, omelia del vescovo di Rieti Delio Lucarelli

La tradizionale ricorrenza della Patrona della Città e Diocesi di Rieti, la vergine e martire Barbara di Nicomèdia, ci offre sempre occasioni speciali di riflessione e di approfondimento, spirituale e non soltanto, in ordine al nostro stare nel mondo in modo attivo e consapevole.

Proprio pochi giorni fa, aprendo l’anno della vita consacrata, indetto da Papa Francesco, nei primi vespri della prima domenica di Avvento, abbiamo potuto iniziare una riflessione su cosa significhi essere di Dio, appartenere a Lui, già dal battesimo e per tutta la vita, fino al suo compimento, accogliere la sua irruzione nella storia, e nella vita di ognuno.

Una venuta dirompente, ma anche discreta e dimessa, che lascia spazio alla libertà dell’uomo, libertà, spesso, devastante e spietata. Essere di Dio, come fu per Barbara e per le tante vergini e martiri, dell’antichità e del nostro tempo, significa accogliere la propria vita e quella degli altri come dono, come opportunità, come possibilità di incidere e di cambiare il corso delle cose, mettendo a rischio la propria vita.

Mentre riflettevo sulla vita della nostra Patrona, per offrirvi poi un pensiero che restasse nelle vostre coscienze, vedevo in Lei, nel suo sacrificio e nella caparbia fortezza, che l’hanno distinta e resa grande in mezzo al nostro popolo, una sorta di prefigurazione dei drammi peggiori del nostro tempo, da un lato, e il protòtipo di ciò che sarebbe poi stata la vita consacrata nella Chiesa, dall’altro lato.

Santa Barbara fu uccisa perché cristiana, donna, ragazza, da chi avrebbe dovuto proteggerla e difenderla, cioè dal padre.

Dunque fu uccisa per un’idea, perché donna: quindi avrebbe dovuto essere remissiva e obbediente, perché giovanissima: quindi debole e sottomessa.

Purtroppo ancora oggi si muore per questi motivi.

Sembra che non sia cambiato niente, nonostante il cammino dell’uomo in tanti secoli di storia.

Ogni giorno veniamo informati circa violenze, soprusi, uccisioni, proprio nei confronti di donne e bambini, senza motivo, senza pietà, senza freni.

Non solo sembra non essere cambiato niente, ma addirittura sembrano aumentati l’efferatezza e il numero di queste esecuzioni che gridano al cospetto di Dio.

Si muore per le idee, per i princìpi nei quali si crede, ma più spesso si muore senza ragione, senza senso.

L’uomo del nostro tempo, tanto protéso verso i nuovi orizzonti della scienza e della tecnica, fino a poco tempo fa considerati irraggiungibili, non riesce a porre rimedio alla sete di sangue che lo fa permanere nel suo stato primordiale.

Mi viene in mente la celebre lirica dello scrittore e poeta Salvatore Quasimodo, “Uomo del mio tempo”.

Sei ancora quello della pietra e della fionda, uomo del mio tempo.

poi più avanti dice:

T’ho visto: eri tu, con la tua scienza esatta persuasa allo sterminio, senza amore, senza Cristo. Hai ucciso ancora…

prosegue così:

E questo sangue odora come nel giorno quando il fratello disse all’altro fratello: “Andiamo ai campi”.

Il poeta si riferisce a Caino e Abele.

L’uomo di oggi, senza amore e senza Cristo, uccide ancora e benché pieno della sua scienza, è avvolto dall’odore del sangue caldo delle sue vittime. È un’immagine forte, ma le storie di questi ultimi giorni e di queste ultime ore la rendono attuale. Il poeta, verso la fine della lirica, ci invita a dimenticare i padri, a voltare pagina, a cambiare.

T’ho visto, ripete due volte, eri tu! Sembra che non vi sia scampo, che la cattiveria umana, la debolezza, la freddezza di chi uccide, per il potere, per i soldi o per niente, non abbia limiti.

Le notizie che vengono da Roma, relative ad una organizzazione criminale che speculava su tutto, poveri compresi, ci lascia senza parole. Speculazioni sui soldi per i poveri e per i rifugiati, vi sono state e vi sono ancora, anche qui da noi! Sistemi di guadagno spregiudicati, di intimidazione e di ricatto, che avrebbero coinvolto delinquenti, politici, amministratori, funzionari di vari livelli.

Vittime e carnefici di ieri e di oggi.

Ma quell’amore, quel Cristo, a cui accenna il poeta Quasimodo, non ci permettono di insanguinare il mondo e di infangarlo così come sta avvenendo!

Aver occultato il concetto di Dio, averlo relegato negli ambiti angusti del privato, ha portato la società a non avere più freni, alla barbàrie più cruda.

Aver ridotto l’amore alla pura volizione e alla voluttà, priva le persone di quei sentimenti forti ed autentici, che aiutano a vivere, e a vivere bene.

Ma noi sappiamo anche che, insieme a tanto male che l’uomo semina nel mondo, vi è tanto bene che si compie, nel silenzio e nel nascondimento.

È il bene che fa chi svolge funzioni di aiuto alla collettività, chi lavora con spirito di sacrificio e con tanta onestà, chi si impegna nelle realtà del volontariato. Penso ai vari corpi armati, alle numerose professioni che hanno eletto Barbara come protettrice e come patròna.

Il bene è più forte del male ed è più del male, quantitativamente, anche se il male fa più notizia. In molti, ancora oggi, rispondono alla chiamata al bene; lo fanno nella vita laicale e sono la maggior parte, ma lo fanno anche rispondendo ad una speciale chiamata alla vita consacrata nei vari ordini religiosi maschili e femminili. Sembrano scelte anacronistiche e rinunciatarie, ma chi le vive intensamente e interiormente può sperimentare la grazia di Dio, il suo amore. Nella vita consacrata si possono cogliere i segni di una particolare vicinanza di Dio, che apre il cuore a tutti gli uomini.

Cinque giovani della nostra diocesi hanno intrapreso un cammino di discernimento: sono piccoli segnali, ma incoraggianti.

In qualche modo Barbara ha saputo prefigurare anche questa consacrazione speciale a Dio, testimoniando la sua sponsalità fino al martirio. Donna del suo tempo, come tanti altri personaggi più o meno conosciuti, Barbara ha saputo sfidare il male; è stata se stessa fino in fondo.

Si è consacrata, donata allo Sposo, offerta con amore a Cristo. Non fu una donna senza amore e senza Cristo. Ma fu piena di amore e di Cristo. Anzi, piena dell’amore di Cristo.

Il suo esempio ci lascia sgomenti, la sua testimonianza ci fa ammutolire.

Ma per cambiare il mondo ci vuole coraggio!

Il coraggio e la forza delle idee, di restare fermi nella propria volontà, di combattere e di convincere gli altri.

Questo è l’insegnamento che dobbiamo cogliere per la nostra esperienza quotidiana.

Queste sono le persone che dobbiamo saper imitare e raccontare a quanti percorrono le nostre stesse strade.

Fratelli e sorelle, fin da quando sono venuto a Rieti come vescovo, ho subito apprezzato e amato questa santa martire, e ciò che Lei rappresenta per voi.

In questi anni del mio episcopato ho cercato di lasciarmi guidare dal suo esempio e ho implorato la sua intercessione, come degli altri santi che noi veneriamo.

Nelle settimane scorse ho consegnato alla Santa Sede la lettera di rinuncia all’ufficio per raggiunti limiti di età, con animo grato e riconoscente. Continuo a svolgere come il primo giorno il mio servizio, fin quando sarà necessario.

E sempre mi lascerò affascinare da questi santi coraggiosi e forti.

Fate così anche voi. Amen.