Dibattito in città

Recupero delle aree ex-industriali: tra il vecchio e il nuovo

Di recuperare le aree ex-industriali inglobate nel tessuto urbano dall’espansione della città si parla da molti anni. Un tormentone lungo al punto da rendere datati e inattuali i progetti elaborati allo scopo. Incurante delle lentezze di casa nostra, infatti, il mondo non ha fermato la sua corsa e oggi sembrerebbe costringere alla scelta tra vivere interpretando il nuovo o morire di nostalgia e voglia di restaurazione

Sui giornali e sui social si torna a scrivere sul recupero dell’ex Zuccherificio da parte della Coop Centro Italia, proprietaria dell’area: un piano da 60 milioni di euro nel quale molti vedono una boccata d’ossigeno per l’asfittica economia locale. A riprendere il discorso ci ha pensato l’Amministrazione comunale, che ha convocato la Commissione competente per esaminare di nuovo la proposta dei potenziali investitori. In passato il progetto è stato bocciato perché esagerato rispetto ai parametri urbanistici consentiti. L’iniziativa del Comune non sembra avere alle spalle alcuna idea su come riprendere il discorso e neppure una visione di città in cui inserirlo: l’impressione è che si sia semplicemente voluto riaprire il dibattito, forse in cerca di nuove idee.

Coop Centro Italia, al contrario, tiene fermo e ha ben chiaro cosa fare dell’area ex-industriale: un grande polo commerciale appena fuori le mura. Tra Rieti e Cittaducale, però, il rapporto tra i metri quadrati destinati alla grande distribuzione e il numero dei residenti è tra i più alti d’Italia. Messo nero su bianco da Confcommercio, questo squilibrio suggerirebbe una certa prudenza riguardo alla nascita di nuove attività del genere: neppure ai nostalgici dell’Emmezeta, infatti, sfugge che la proliferazione incontrollata di ipermercati e mercatoni ha contribuito non poco alla crisi del centro storico.

Attorno all’ex zuccherificio si muovono interessi legittimi e la Coop vuole giustamente fare il suo mestiere, ma forse sarebbe il caso d’inventare qualcosa di diverso: che siano capannoni e opifici riconvertiti o aree di nuova costruzione, le concentrazioni di punti vendita e grandi parcheggi sanno di vecchio. Specialmente se il nuovo ha già qualche anno.

Il centro gravitazionale del commercio è sempre più la Rete: basta guardare Amazon: se in Borsa muove più capitali dei colossi mondiali dell’auto, del petrolio, dell’energia o del cibo è perché i grandi investitori scommettono sulla capacità del commercio elettronico di scardinare gran parte di quello “fisico”.
La tendenza in Italia lo conferma: la percentuale di prodotti venduti on-line cresce di anno in anno. Già oggi – tanto per fare un esempio – le grandi catene dell’elettronica sembrano destinate a sopravvivere ripensandosi come vetrina: uno spazio in cui si provano i prodotti e si curiosa tra le novità, mentre gli acquisti si fanno via internet e li consegna il corriere.

Un modello commerciale che richiede poco personale e apre al sospetto che nel medio periodo gli investimenti sulle grandi aree commerciali non garantiranno il lavoro stabile e abbondante che promettono. Facciamoci caso: la digitalizzazione non riguarda solo il commercio. Anche le agenzie immobiliari o turistiche, le banche, le assicurazioni e perfino le pubbliche amministrazioni funzionano sempre più su internet e sempre meno negli uffici.
Il cambiamento è spinto in gran parte dalla ricerca del risparmio di tempo e di denaro e si muove sulle spalle di un crescente numero di consumatori dotati di tutti i mezzi per conoscere, ordinare e pagare direttamente dal proprio telefonino i prodotti che intendono acquistare. A che serve, dunque, costruire nuovi centri commerciali?

La domanda non riguarda solo Rieti, ma se la stanno facendo molte altre realtà. Perché un po’ dappertutto i centri storici si stanno rapidamente svuotando dei loro negozi e perché qua e là cominciano a “saltare” anche gli stessi centri commerciali. Finiscono a serrande abbassate e lasciano deserti immobiliari alle loro spalle: casermoni sfitti e parcheggi vuoti che restano abbandonati al degrado come tanti ex zuccherifici.

Certo, la scena ancora rara, ma bisognerebbe interrogarsi per quanto tempo ancora. Almeno come tentativo di cogliere le tendenze generali: il minimo per chi ha il pallino o il compito di governare i processi, trovare i compromessi, immaginare un futuro migliore per tutti.