«Noi vorremmo che le religioni diventassero fattori di pace e che, attraverso un serio e costruttivo dialogo interreligioso, offrissero soluzioni a tanti conflitti che ci sono nel mondo, soprattutto quando vengono strumentalizzate per intensificare le divisioni».
È l’auspicio che il segretario di Stato vaticano, cardinale Pietro Parolin, formula a margine di un convegno internazionale che si è tenuto a Roma sulla libertà religiosa, organizzato dall’ambasciata Usa presso la Santa Sede con la Comunità di Sant’Egidio e Aiuto alla Chiesa che soffre. «Ho partecipato a questo convegno – spiega Parolin – proprio perché, come sapete, la Santa Sede è in prima linea nella difesa e nella promozione della libertà religiosa e vede con estrema preoccupazione ciò che sta capitando nel mondo dove le minoranze, sia etniche sia religiose, non vengono rispettate, anzi sono molte volte osteggiate spesso fino a farle scomparire. Credo che ogni iniziativa che si prende in questo ambito, ogni azione che si compie, deve essere appoggiata».
«Le persecuzioni religiose continuano a crescere in maniera incredibile», ha detto Parolin, prendendo la parola all’incontro, assicurando che «la Santa Sede non si stancherà mai di denunciare queste situazioni per tutti i gruppi etnici e religiosi che possono subire questo genere di discriminazioni. C’è bisogno di dialogo e di riconciliazione per poter far rimarginare queste ferite e promuovere la libertà religiosa».
L’educazione dei giovani e il ruolo dei leader religiosi: sono questi – dice il segretario di Stato vaticano – i due fronti su cui la Santa Sede incoraggia ad agire. Perché «non vi sarà pace senza adeguata istruzione delle future generazioni» e perché tutti oggi – i governi e la società civile – sono chiamati ad affermare che «non ci dovrebbe essere alcuna violenza in nome della religione».
Ma un ruolo speciale lo devono svolgere i leader religiosi: «Devono smascherare la violenza che danneggia la religione e il nome di Dio», incalza Parolin. «La violenza e il credo religioso sono incompatibili». A margine del convegno, il Sir lo ha intervistato.
Eminenza, il 7 luglio a Bari, si terrà una Giornata di riflessione e preghiera sulla situazione drammatica del Medio Oriente. Quanto ci tiene Papa Francesco a questo incontro? E perché?
Ci tiene molto. L’iniziativa parte da lui. Ha cercato di coinvolgere tutti i capi delle Chiese cristiane e di coinvolgerli in un’opera comune a favore della pace, sottolineando il contributo che le Chiese cristiane a livello ecumenico possono portare alla soluzione dei grandi problemi del Medio Oriente, soprattutto dei conflitti e della ricerca della pace.
Quale messaggio, il Papa e i Patriarchi vogliono lanciare al mondo e alla comunità internazionale per i cristiani perseguitati?
È prima di tutto un messaggio di vicinanza e d’incoraggiamento. Questi cristiani molto spesso hanno bisogno di sentire davvero vicini i loro fratelli e le loro sorelle del mondo intero. A volte, non si possono dare soluzioni immediate, però è importante che sappiano che la loro situazione sta a cuore alle Chiese. Poi certamente, sottolineeranno il contributo che le comunità cristiane possono portare alla soluzione dei problemi in rispetto dei diritti di ogni persona e di ogni gruppo. Mi pare che fondamentalmente saranno questi i temi.
Legata anche al problema del Medio Oriente, c’è la questione dei flussi migratori: persone che in fuga dalla guerra, dalla povertà, dalla persecuzione, affrontano il Mediterraneo per raggiungere l’Europa. Ma è di questi giorni, purtroppo, la notizia che per loro i porti europei si chiudono. La domanda è: dove è l’Europa? E soprattutto, davvero la chiusura dei porti può essere la soluzione?
Ecco la domanda. L’Europa dov’è? C’è ancora? E, come si dice, se ci sei, batti un colpo. Credo che ci debba essere una risposta comune a questo problema. Certamente i porti chiusi non sono una risposta. Però la risposta può venire soltanto da una collaborazione tra tutti i Paesi europei. Credo che si debba insistere su questo. La problematica delle migrazioni esige il coinvolgimento di tutti. Non può essere rigettata sulle spalle di alcuni soltanto ma deve essere assunta responsabilmente da tutta Europa e da tutta la comunità internazionale, però sempre in quella linea e in quell’orizzonte di umanità e solidarietà che non può mancare di fronte a questi problemi.
Ne parlerà domani anche con il presidente Macron?
Certamente, sarà uno dei temi che si affronteranno con il presidente francese. Nel Concistoro del 28 giugno, Luis Raphael I Sako, patriarca di Babilonia dei Caldei, in Iraq, sarà creato cardinale e il Medio Oriente avrà un cardinale in più. Come leggere questo segno? Il Papa voleva evidentemente sottolineare la sua attenzione nei confronti del Paese. Un Iraq che sta muovendo i passi verso una certa soluzione e una maggiore stabilità. È forse il Paese del Medio Oriente che in questo momento sembra possa offrire più speranze, anche alla luce della recente evoluzione politica. La nomina sta a significare un’attenzione particolare per questa area e speriamo possa aiutare a rafforzare questi sintomi di pace e di speranza che ci sono.