Reate Festival: Carmina Burana con il Coro del Teatro Lirico di Parma

Una grande Cantata per un grande Coro: quello del Teatro Lirico di Parma, una compagine vocale tra le migliori del nostro panorama nazionale.

I Carmina Burana, capolavoro del repertorio corale tra i più celebri e amati di tutti i tempi, vengono proposti nella versione per due pianoforti e percussioni. Sul podio un giovane ma già affermato direttore, Francesco Lanzillotta, solisti i giovani cantanti e strumentisti dell’Accademia di Santa Cecilia.

“Canzoni profane per cantori e cori da eseguire col sussidio di strumenti e di immagini magiche”, questa la dicitura dei Carmina Burana di Carl Orff, composizione tra le più celebri del ‘900, capace di appassionare anche i poco avvezzi alla musica colta per la sua travolgente carica ritmica e l’immediata comunicativa.

Una scelta di repertorio che il sovrintendente Lucia Bonifaci e il direttore artistico Cesare Scarton hanno voluto proporre per diversificare i percorsi intorno alla vocalità e al tempo stesso esaltare la straordinaria bravura del “coro in residence” del Reate Festival, il Coro del Teatro Lirico di Parma diretto da Martino Faggiani. Una compagine tra le più qualificate del nostro paese, che oltre al repertorio costituito dalle maggiori partiture operistiche degli autori italiani dell’Ottocento affronta lavori sinfonici e sacri anche nella produzione contemporanea. E’ diretto da Martino Faggiani, pianista e direttore di coro, da più di dieci anni Maestro del Coro del Teatro Regio di Parma, già attivo presso l’Accademia di Santa Cecilia nonché presso i maggiori enti lirici in Italia e all’estero.

Ancora una volta solisti e strumentisti sono i nuovi talenti dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia: i giovani cantanti provengono da Santa Cecilia Opera Studio, il programma di alto perfezionamento in canto lirico guidato da Renata Scotto. Paola Leggeri, soprano, presenza affezionata del Reate Festival. è vincitrice di importanti concorsi internazionali e ha cantato sotto la direzione di Kent Nagano. Moisés Marín García, compiuti gli studi musicali e di Ingegneria nella città di Granada, ha partecipato a diverse produzioni di Opera Studio dell’Accademia di Santa Cecilia e ha collaborato con importanti teatri e istituzioni europee. Ivo Yordanov, baritono, è nato nel 1980 a Varna, in Bulgaria; diplomatosi nella sua città si è poi perfezionato a Roma presso la Fondazione Boris Christoff e l’Opera Studio dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, e ha vinto il Concorso per Giovani Cantanti Lirici della Comunità Europea organizzato dal Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto.

I Percussionisti dell’Ensemble Novecento provengono dai corsi di perfezionamento Santa Cecilia Music Masters, i pianisti Fabio Centanni e Antonello Maio oltre a svolgere attività di maestri collaboratori presso diversi enti tra cui l’Accademia di Santa Cecilia, hanno al loro attivo concerti solistici e cameristici in ambito europeo.

Francesco Lanzillotta, considerato uno dei più promettenti giovani direttori nel panorama musicale italiano, ha diretto in alcuni dei più importanti teatri italiani ed è invitato regolarmente da orchestre italiane ed europee. Direttore principale ospite del Teatro dell’Opera di Varna, ha un fitto calendario nei prossimi mesi in istituzioni sinfoniche quali l’Orchestra Regionale della Toscana, l’Orchestra della RAI di Torino, Orchestra “I Pomeriggi Musicali” di Milano e l’Orchestra della Svizzera Italiana di Lugano.

I Carmina Burana, proposti nella versione alternativa a quella per orchestra realizzata da Orff stesso per un organico di due pianoforti e percussioni, furono rappresentati la prima volta l’8 giugno 1937 alla Staatsoper di Francoforte (la prima italiana risale al 10 ottobre 1942 al Teatro alla Scala di Milano). Il successo fu tale che all’indomani della rappresentazione Carl Orff ebbe a scrivere al suo editore: “Può mandare al macero tutto quanto ho scritto sinora. Con i Carmina Burana inizia la mia produzione”.
La cantata, eseguita successivamente in altre città tedesche nonostante fosse molto ostacolata dal regime per il tono erotico di alcuni canti, divenne l’opera musicale più conosciuta tra quelle composte durante il periodo nazista, caratterizzata da un’insistenza ritmica quasi ossessiva, dall’uso di strumenti percussivi e da una declamazione stentorea.
Un’opera che ha segnato la fama di Orff finendo per diventare, almeno presso il grande pubblico, uno di quei casi di totale coincidenza tra l’autore e l’opera-capolavoro.

I Carmina Burana muovono dalla celebre raccolta medievale omonima, conservata fino all’inizio dell’Ottocento nel monastero di Benediktbeuren, fondato da San Bonifacio tra il 730 e il 740 in Baviera.
La monumentale silloge di canti goliardici duecenteschi viene ridotta mantenendo il plurilinguismo dell’originale (al latino si aggiungono l’Althochdeutsch e il provenzale).
Se i temi generali possono essere ricondotti a quelli tipici della poesia dei clerici vagantes, le tre sezioni, anche se mancanti di una trama vera e propria, sono dichiaratamente dedicate alla Primavera (Primo vere, un inno pagano), ai canti da taverna (In taberna) e all’amore (Cours d’amours, che culmina nell’invocazione a Venere Ave formosissima), articolando i singoli canti in una sorta di oratorio scenico. 
Il prologo è invece dedicato alla Fortuna, sotto la cui ruota simbolicamente si collocano le sezioni successive.

La varietà è il punto di forza dei Carmina Burana: non soltanto per le soluzioni timbriche adottate, ma anche per l’adozione di accenti ora lirici, ora grotteschi, ora smaccatamente popolari, ora raffinati e colti, che si avvalgono di un linguaggio di rara immediatezza comunicativa.