Misericordia e Carità, mons. Pompili: «Quando si ama conta amare»

È stata una riflessione sulla prospettiva aperta dall’Anno Santo della Misericordia l’oggetto dell’intervento del vescovo Domenico in occasione dell’incontro con gli operatori della Caritas diocesana e con i volontari delle Caritas parrocchiali, svolto lo scorso giovedì 18 febbraio a Rieti negli ambienti attigui alla chiesa di San Michele Arcangelo.

Un appuntamento durante il quale le diverse realtà si sono confrontate raccontando le proprie esperienze e le diverse strategie di intervento nel contrasto al disagio, alla solitudine e alla povertà, mettendo così in comune percorsi e soluzioni. Quello delle Caritas nella diocesi di Rieti è infatti un universo articolato, composto sia da realtà ben strutturate e numericamente consistenti, che da situazioni più piccole, ma non meno impegnate.

In tutte mons. Pompili ha riconosciuto «il valore aggiunto» delle opere di Misericordia materiale e spirituale, «che fanno lo stile cristiano della carità». Una dimensione che il vescovo ha ricondotto a tre caratteristiche principali.

La prima è legata proprio al termine “opera”, al disporsi della carità come un qualcosa di concreto e tangibile: «Non siamo nel mondo delle idee, dei desideri, dei sogni – ha sottolineato don Domenico – ma la carità risponde a ciò che in questo momento è più necessario. La Caritas non è fatta di discorsi: è vista con tanta attenzione anche dall’esterno della Chiesa proprio perché sa essere così concreta. Se viene meno questa concretezza, l’opera non si realizza. Non importa il numero dei volontari: importa l’essere capaci di essere concreti».

Il secondo tratto specifico dello stile cristiano nella carità è l’indipendenza dai condizionamenti esterni: «La carità non è la filantropia – ha sottolineato mons. Pompili – e la Chiesa non è una Ong. Si fa la carità innanzitutto secondo una esigenza spirituale. La carità che andiamo a realizzare, è il segno di ciò che siamo».

Ne consegue «il non legarsi al carro di nessuno, l’“orgoglio” di fare con le proprie gambe. Si può collaborare con altre realtà – ha ammesso don Domenico – ma lo scopo della Caritas è un altro rispetto alla giustizia, al welfare, alla legalità». E questa indipendenza è necessaria perché «laddove lo Stato si ferma noi non possiamo fermarci».

Il terzo carattere dello stile cristiano della carità lo si rintraccia nel suo essere un agire condotto sempre come fine e non come mezzo: «Ciò che si fa è fine a se stesso, non serve a fare proselitismo, né per avere un ritorno in termini personali» ha concluso il vescovo. «Il servizio è davvero gratuito se non cerca altra ricompensa di aver fatto qualcosa di utile per gli altri. Le opere di misericordia hanno in se stesse la propria ragion d’essere: quando si ama conta amare».

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