L’amianto avvelena anche la giustizia

Il reato è prescritto, dunque nessuno pagherà per la sua colpa. Non ci sarà carcere, ma neppure un risarcimento a chi ha perso genitori, fratelli, sorelle. La prima sezione penale della corte di Cassazione di Roma, accogliendo la richiesta del procuratore generale, ha così cancellato la condanna a 18 anni comminata in secondo grado, lo scorso anno, al magnate svizzero Stephan Schmideiny per disastro ambientale doloso permanente e omissione di misure antinfortunistiche. Una sentenza che aveva ricalcato quella di primo grado a carico dei due proprietari dell’Eternit, lo svizzero Stephan Schmideiny e il barone belga Louis de Cartier de Marchiene (passato a miglior vita, a 92 primavere suonate, tra primo grado e appello).
L’imputato era stato condannato dalla Corte d’appello di Torino il 3 giugno 2013. La prescrizione, secondo i giudici, è maturata al termine del primo grado, cioè il 13 febbraio 2012. Dunque, niente carcere per Schmideiny (e questo già lo si dava per scontato), ma soprattutto sfuma la possibilità di un risarcimento economico per i familiari delle vittime, che tra il 1966 e il 1986 avevano lavorato nei quattro stabilimenti italiani della multinazionale elvetico-belga – Casale Monferrato e Cavagnolo (Torino), Rubiera (Reggio Emilia) e Bagnoli (Napoli) -, morte per mesotelioma pleurico, il tumore provocato dall’inalazione di polveri d’amianto. E anche le comunità locali non avranno alcun risarcimento, come pure l’Inail che, per le sole prestazioni a questi lavoratori colpiti dalle patologie provocate dall’amianto, ha pagato 280 milioni di euro.
Pur rispettando le sentenze e i principi del diritto, lascia l’amaro in bocca l’epilogo di questa vicenda. Chiuso il maxiprocesso, restano aperti due filoni – uno con l’accusa di omicidio volontario per la morte di 213 lavoratori e l’altro per la morte dei dipendenti italiani di siti produttivi all’estero -, ma soprattutto resta aperta la grande questione dell’amianto ancora presente non solo in strutture abbandonate, ma anche in scuole, caserme, navi, per non parlare di fabbriche e abitazioni. Sono oltre 3 mila, in Italia, i siti a “potenziale contaminazione”, come li definisce il quaderno del Ministero della salute dedicato alle patologie correlate all’esposizione da amianto, pubblicato nel 2012. La malattia principale provocata da questa sostanza è il mesotelioma, un tumore letale che colpisce le vie respiratorie e si manifesta dopo un lungo periodo d’incubazione, anche 30-40 anni, a tal punto che, nonostante nel 1992 il nostro Paese abbia messo al bando l’utilizzo dell’amianto, ancora oggi vi sono circa tremila morti ogni anno.
Secondo una stima del Cnr (Consiglio nazionale delle ricerche), rimangono in Italia 32 milioni di tonnellate di cemento-amianto ancora da bonificare, mentre sono 680mila le persone a rischio. Solo a Casale Monferrato si contano un milione di metri quadrati di coperture cancerogene, mentre è dei giorni scorsi la denuncia dell’Ona (Osservatorio nazionale amianto) circa la presenza di fibre di amianto nell’acquedotto di Carpi, in Emilia.
Lo smaltimento non è semplice e richiede tempo, considerato pure il grande utilizzo che se ne fece in Italia fino al 1992, ma andando avanti di questo passo serviranno decenni, con rischi sempre più crescenti, dal momento che il passare del tempo aumenta il pericolo che le strutture in amianto si degradino e disperdano la loro polvere venefica.