Il vescovo Domenico: «La storia non è il fine né la fine di tutto»

«Questi, che sono vestiti di bianco, chi sono e da dove vengono?». È la domanda che risuona nell’Apocalisse da dare lo spunto al ragionamento del vescovo Domenico nel giorno di Tutti i Santi. Un testo che l’immaginario associa subito alla dimensione del Giudizio, e che insieme rivela una debolezza tutta contemporanea: «Siamo ormai disabituati all’idea della fine». Pure quando ammiriamo il Giudizio Universale dipinto dell’oratorio di San Pietro da Verona custodito nell’area militare della caserma Verdirosi a Rieti, o quello affrescato sulle pareti del battistero di S. Maria extra moenia ad Antrodoco «ci affrettiamo a guardare altrove».

E questo perché «siamo disabituati a vedere le cose dalla fine e ci limitiamo ad osservarle nel frattempo», ma così «viene meno la visione e ci sentiamo intrappolati nel frammento che ci tocca vivere, senza decifrare che ci succede e soprattutto come andrà a finire. E così tiriamo a campare, mentre il tempo scorre inesorabile».

Fortunatamente, ha aggiunto mons Pompili, «la solennità di Tutti i Santi e quella dei Morti che trascina con sé ci riscatta da questa percezione sbiadita del vivere e ci fa ritrovare una certezza sempre cara al popolo cristiano. La fine è il fine per cui esistiamo. La nostra destinazione ultima non è quaggiù, ma va oltre questo spazio e questo tempo e si apre ad una sorpresa. Quella che Dio ci regala».

Un qualcosa che si può pregustare rivolgendosi al celebre testo delle Beatitudini, nel quale «per ben 9 volte» Matteo mostra che «Dio è qui, la consolazione è possibile, la terra è a disposizione di tutti, la giustizia viene, la misericordia pure e, soprattutto, Dio si vedrà. Per questo la pace non è più un’utopia e la giustizia un’illusione. Ecco perché i poveri possono sentirsi beati; perfino gli afflitti e i miti possono tornare a sperare e i puri di cuore, cioè quelli senza secondo fini, possono star tranquilli “perché grande è la… ricompensa nei cieli”».

Arriva a questo punto la risposta alla domanda iniziale: quelli “vestiti di bianco” sono i santi, «cioè gli ‘amici di Dio’ che possono l’impossibile, diventando capaci di attraversare anche i momenti bui e le situazioni complicate, sorretti come sono dalla fiducia che la fine non sarà il fallimento, ma la salvezza».

«Il Giudizio – ha spiegato mons. Pompili – è come togliere il velo a questa confusa percezione delle cose per cui hanno la meglio i ricchi, quelli che se la ridono, quelli che sono spregiudicati, quelli che disprezzano la giustizia. La conferma di questa rivelazione ce la offre la vita di tutti i giorni. Chi è veramente felice? Se siamo sinceri non quelli che il divismo di sempre lascia supporre. Non i vip, i potenti, gli arrivisti, i furbi. Ma più semplicemente ‘i poveri in spirito’ cioè quelli che vivono dignitosamente a dispetto delle cose; gli ‘afflitti’ cioè quelli che sanno accettare le contraddizioni della vita; i ‘miti’ cioè quelli che non pretendono sempre tutto ma si aprono a tutti; quelli che hanno ‘fame e sete della giustizia’, cioè non si accontentano di come stanno le cose; e soprattutto quelli che coltivano il desiderio di vedere Dio e non si perdono dietro ai suoi surrogati di sempre».

Ad emergere dalla festa di tutti i Santi allora è un’apertura di senso, che invita ad «ammirare quel che siamo e soprattutto quel che saremo. La storia non è quella che ci raccontano i libri, non è fatta solo dai titoloni delle cronache, né dai personaggi che appaiono e scompaiono. La storia siamo noi, cioè ciascuno quando scopre quello che la prima lettera di Giovanni, lascia intendere: “Vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!”».

«La storia non è il fine e dunque neanche la fine di tutto – ha sottolineato don Domenico – è solo il passaggio, la passerella (non necessariamente sempre su red carpet) per coltivare quello che ciascuno desidera profondamente e che lo lascia puntualmente insoddisfatto».

«In realtà: “Noi fin da ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è”. Lo vedremo! Questo desiderio incompiuto si chiama la fede e genera la speranza. È quanto basta però per reggere l’urto di una vita spesso priva di senso. Per sopportare dolori che restano come spine conficcate nella carne. Per resistere ad ingiustizie che provocano morte e distruzione. Lasciamo che questa speranza – ha concluso mons. Pompili – rianimi il nostro cuore confuso e lacerato. I santi che tanto ci entusiasmano, da San Francesco a Madre Teresa, sono la prova storica che è possibile».