Il vero umanesimo? Passa attraverso la capacità di relazione

Il vero umanesimo? Passa attraverso la capacità di relazione. Quelle che l’uomo di oggi, preso da continua fretta, non ha tempo di permettersi. E anche se perennemente connessi grazie alle nuove tecnologie, in realtà il rischio è quello di una progressiva disumanizzazione dovuta proprio alla difficoltà di intessere relazioni significative.

È sul valore del nuovo umanesimo, quello che la Chiesa italiana, sull’onda dell’Evangelii gaudium di papa Francesco, si è impegnata a testimoniare al convegno ecclesiale di Firenze, che è stato impostato il terzo incontro del ciclo intitolato “Con misericordia” proposto per questo anno associativo dal settore Adulti dell’Ac diocesana. La misericordia al centro di questo anno giubilare altro non è che quella gioia del seguire il Vangelo, e quella novità di vita dove l’uomo acquista tutto il suo valore, che i credenti vogliono annunciare e costruire. A condurre la riflessione, l’assistente regionale dell’Azione Cattolica del Lazio, don Alfredo Micalusi, seguito dai soci dei gruppi parrocchiali e altri che hanno raccolto l’invito, radunati nella bella cornice della sala di rappresentanza della Prefettura (dove il vice prefetto vicario, negli ultimi giorni da reggente aspettando l’insediamento del nuovo prefetto di Rieti, ha accolto gli amici dell’associazione ecclesiale in cui è egli stesso impegnato).

Come recuperare il senso vero dell’humanitas? Come far parlare davvero la gioia del Vangelo? L’invito del relatore è a un cambiamento che parta da dentro. Cambiamento che possa liberare il messaggio cristiano – e autenticamente umano – che l’Europa “cristiana” non sa accettare veramente, per dirla col Papa nel suo recente appello in occasione del conferimento del “Premio Carlo Magno”.

Da quali “gabbie” va liberato il messaggio evangelico per essere restituito alla sua autenticità? La prima situazione in cui esso è stato ingabbiato è l’innestamento nella categoria filosofica dal principio d’identità e di non contraddizione. Con tale gabbia, la dignità dell’io è solo “io”: a discapito dell’altro, dunque, mentre una vera identità include include l’alterità e solo così può aprirsi alla relazione. Stupendo, in tal senso, il richiamo del Papa quando nella Evangeli gaudium ricorda che «il tempo è superiore allo spazio»: allora, «più che occupare spazi occorre iniziare processi».

Una seconda gabbia è quella della matrice del potere: anche la Chiesa si è adagiata troppo su una società che ha creduto il potere onnipotente, che fosse il potere politico, quello economico o anche quello religioso. Eppure il vero potere è quello dell’Onnipotente. E l’onnipotenza di Dio è nell’amore.

Poi, la gabbia della proprietà. Un semplice strumento che è diventato un assoluto, quasi con dignità sacrale. Liberarsene vuol dire dare corpo a quello che il Pontefice rilancia quando parla di una Chiesa capace di povertà, non semplicemente “per” i poveri. Liberarsene significa capire che la risposta alla miseria non sta nel moltiplicare le risorse, cercandone sempre di più come se fossero infinite, ma a saper condividere quelle che ci sono, con l’unica soluzione possibile: adottare uno stile di vita più sobrio.

Da superare, infine, una sbagliata concezione del sacrificio, che pure ha ispirato tanta spiritualità e generato santità, ma che è a rischio di equivoco: l’idea del dolore come “mandato da Dio”, da accettare supinamente. Ma se Cristo è specchio del vero uomo e se per lui il sacrificio è il dono, non può essere diversamente per il credente. Ciò che i cristiani sono chiamati ad annunciare è la gioia. Una fede che sia bella, gioiosa, liberante, in cui la croce porta alla Pasqua. È quel “misericordia io voglio, non sacrificio” che fonda la fede biblica autentica. È quella capacità di condividere la vita umana nella sua totalità, perché una spiritualità eterea, disincarnata non è una spiritualità cristiana autentica.

Il vero umanesimo? Passa attraverso la capacità di relazione. Quelle che l’uomo di oggi, preso da continua fretta, non ha tempo di permettersi. E anche se perennemente connessi grazie alle nuove tecnologie, in realtà il rischio è quello di una progressiva disumanizzazione dovuta proprio alla difficoltà di intessere relazioni significative.

È sul valore del nuovo umanesimo, quello che la Chiesa italiana, sull’onda dell’Evangelii gaudium di papa Francesco, si è impegnata a testimoniare al convegno ecclesiale di Firenze, che è stato impostato il terzo incontro del ciclo intitolato “Con misericordia” proposto per questo anno associativo dal settore Adulti dell’Ac diocesana. La misericordia al centro di questo anno giubilare altro non è che quella gioia del seguire il Vangelo, e quella novità di vita dove l’uomo acquista tutto il suo valore, che i credenti vogliono annunciare e costruire. A condurre la riflessione, l’assistente regionale dell’Azione Cattolica del Lazio, don Alfredo Micalusi, seguito dai soci dei gruppi parrocchiali e altri che hanno raccolto l’invito, radunati nella bella cornice della sala di rappresentanza della Prefettura (dove il vice prefetto vicario, negli ultimi giorni da reggente aspettando l’insediamento del nuovo prefetto di Rieti, ha accolto gli amici dell’associazione ecclesiale in cui è egli stesso impegnato).

Come recuperare il senso vero dell’humanitas? Come far parlare davvero la gioia del Vangelo? L’invito del relatore è a un cambiamento che parta da dentro. Cambiamento che possa liberare il messaggio cristiano – e autenticamente umano – che l’Europa “cristiana” non sa accettare veramente, per dirla col Papa nel suo recente appello in occasione del conferimento del “Premio Carlo Magno”.

Da quali “gabbie” va liberato il messaggio evangelico per essere restituito alla sua autenticità? La prima situazione in cui esso è stato ingabbiato è l’innestamento nella categoria filosofica dal principio d’identità e di non contraddizione. Con tale gabbia, la dignità dell’io è solo “io”: a discapito dell’altro, dunque, mentre una vera identità include include l’alterità e solo così può aprirsi alla relazione. Stupendo, in tal senso, il richiamo del Papa quando nella Evangeli gaudium ricorda che «il tempo è superiore allo spazio»: allora, «più che occupare spazi occorre iniziare processi».

Una seconda gabbia è quella della matrice del potere: anche la Chiesa si è adagiata troppo su una società che ha creduto il potere onnipotente, che fosse il potere politico, quello economico o anche quello religioso. Eppure il vero potere è quello dell’Onnipotente. E l’onnipotenza di Dio è nell’amore.

Poi, la gabbia della proprietà. Un semplice strumento che è diventato un assoluto, quasi con dignità sacrale. Liberarsene vuol dire dare corpo a quello che il Pontefice rilancia quando parla di una Chiesa capace di povertà, non semplicemente “per” i poveri. Liberarsene significa capire che la risposta alla miseria non sta nel moltiplicare le risorse, cercandone sempre di più come se fossero infinite, ma a saper condividere quelle che ci sono, con l’unica soluzione possibile: adottare uno stile di vita più sobrio.

Da superare, infine, una sbagliata concezione del sacrificio, che pure ha ispirato tanta spiritualità e generato santità, ma che è a rischio di equivoco: l’idea del dolore come “mandato da Dio”, da accettare supinamente. Ma se Cristo è specchio del vero uomo e se per lui il sacrificio è il dono, non può essere diversamente per il credente. Ciò che i cristiani sono chiamati ad annunciare è la gioia. Una fede che sia bella, gioiosa, liberante, in cui la croce porta alla Pasqua. È quel “misericordia io voglio, non sacrificio” che fonda la fede biblica autentica. È quella capacità di condividere la vita umana nella sua totalità, perché una spiritualità eterea, disincarnata non è una spiritualità cristiana autentica.