Greccio, la versione di Giotto

Il presepe nel ciclo con le Storie di San Francesco nella Basilica di Assisi

“Questa notte è chiara come pieno giorno e dolce agli uomini e agli animali! La gente accorre e si allieta di un gaudio mai assaporato prima, davanti al nuovo mistero… Francesco si è rivestito dei paramenti diaconali perché era diacono, e canta con voce sonora il santo Vangelo: quella voce forte e dolce, limpida e sonora rapisce tutti in desideri di cielo. Poi parla al popolo e con parole dolcissime rievoca il neonato Re povero e la piccola città di Betlemme”.

Dalle parole di Tommaso da Celano nella vita di San Francesco d’Assisi, il racconto del presepe di Greccio è una narrazione incalzante e sembra mostrare quasi dal vero, quanto accadde in quella sacra rappresentazione voluta da San Francesco nella notte di Natale del 1223, quando il santo, pochi anni prima di morire e di ritorno da Roma, volle fermarsi nel borgo immerso nella valle reatina, dove una grotta scavata nella roccia gli parve rievocare la santità di Bethlehem.

La storia del presepe di Greccio è stata rappresentata in primis nel ciclo con le Storie di San Francesco della Basilica superiore di Assisi. La scena è un saggio di raffinata maestria, soprattutto per la resa prospettica dello spazio in cui è ambientata, si nota l’abilità del pittore nel fingere l’interno di una chiesa con la zona del presbiterio distinta dalla navata centrale. Ma è un particolare a rivelare la misura e la grandezza di Giotto che dipinge una croce lignea sovrastante il tramezzo e visibile non nella parte frontale, ovvero quella rivolta verso i fedeli, ma nel retro, espediente usato per indicare allo spettatore un punto di vista ben preciso.

Tra la folla che assiste alla scena non si possono non notare i frati che cantano, mentre San Francesco, inginocchiato dinanzi ad un ciborio dalle forme classiche, è rivolto verso la mangiatoia dove ci sono il bue e l’asinello.

Al presepe di Greccio rappresentato da Giotto in Assisi si può accostare il primo presepe in scultura, quello realizzato da Arnolfo di Cambio per la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma. Fu Niccolò IV, un papa francescano, a commissionare l’impresa nel 1291 al maestro che in quel periodo, nella città eterna, dettava il suo nuovo linguaggio all’architettura e alla scultura gotica.

Il presepe di Arnolfo è composto dalle classiche statue che ancora oggi non possono mancare nei nostri presepi “casalinghi”, c’è naturalmente Maria con il Bambino, San Giuseppe, il bue e l’asino e il gruppo dei tre re magi. In particolare il più anziano tra i re che venivano dal lontano Oriente, viene rappresentato in ginocchio e la sua figura chiusa in una virgola è di grande intensità contemplativa.

Nella metà del Quattrocento un altro artista ci riporta a Greccio con l’istituzione del presepe da parte di San Francesco; si tratta di Benozzo Gozzoli nella chiesa di San Francesco a Montefalco. Qui il poverello di Assisi tiene in braccio il bambino, lo stringe teneramente, come farebbe un padre con il proprio figlio, lo guarda “con gli occhi del corpo” come volle il santo “vedere” nella mangiatoia il simbolo dell’Incarnazione del Verbo.

Queste immagini della storia dell’arte cristiana inducono l’animo a lasciarsi guidare dalla bellezza del Bambino Gesù, quella bellezza che nella santa notte di Betlemme rapisce tutti, grandi e piccini con gli occhi rivolti in alto, in “desideri di cielo”.