La Giornata mondiale dei poveri è una provocazione etica per le nostre società

La Giornata mondiale dei poveri, istituita da Papa Francesco a partire da quest’anno (il 19 novembre), pur essendo una formidabile novità, rischia di venire fraintesa come se fosse un’iniziativa dovuta solo alla “peculiarità” dell’attuale Pontefice. In realtà il legame tra annuncio del Vangelo e amore dei poveri è antico come la Chiesa, e ne troviamo testimonianza dal Nuovo Testamento all’epoca antica, dal Medioevo ai Papi più recenti. Don Carlo Maccari, dell’Ita di Assisi, ci aiuta a ripercorrere questa bimillenaria storia di fraternità del cristianesimo con gli ultimi

L’iniziativa di Papa Francesco di indire una Giornata mondiale dei poveri ha in sé il carattere della novità in ambito ecclesiale e sociale, ma ribadisce anche la storia di un rapporto così forte, che possiamo chiamare “sacramentale” tra la Chiesa e i poveri iniziato fin dalle origini dell’annuncio evangelico.

Matteo 25,31-46: un Dio che si è fatto povero chiede di amare i poveri

Vi sono numerosi passi dei Vangeli dove Gesù si intrattiene con i poveri di ogni origine e specie, mostrando per loro una preferenza di amore e di compassione: “La povertà è proprio al centro del Vangelo, tanto che, se noi togliessimo la povertà dal Vangelo, non si capirebbe niente del messaggio di Gesù” (Papa Francesco, meditazione mattutina nella cappella della Domus Sanctae Marthae, 16 giugno 2015).

Nella Chiesa delle origini il passo che fu maggiormente meditato ed accolto nella prassi della vita cristiana è stato l’ultimo insegnamento di Gesù contenuto in Matteo 25. In questo brano Gesù con molta chiarezza afferma che per accedere alla vita eterna non conta il nostro rapporto privato con Dio, ma con il nostro fratello, con il povero: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli lo avete fatto a me”.

Oggi vi è una certa interpretazione di questo versetto, molto diffusa nella Chiesa, che considera il povero come “tramite” per giungere a Gesù, come veicolo, e questo ha generato una spiritualità miope e distorta, perché in questo modo si guarda al povero sempre dall’alto verso il basso, lo si aiuta perché in lui si cerca di vedere il volto di Gesù, ma poi magari si spera di non incontrarlo più.

Gesù non dice “quello che fate ai poveri è come se lo aveste fatto a me”, ma “lo avete fatto a me”; Gesù sta proclamando il povero come presenza reale della sua stessa Persona. Dunque il povero non va aiutato perché in lui cerco il volto di Gesù, ma perché nel povero incontro Gesù, che mi parla, mi interroga sulla mia esperienza concreta di vita attraverso le sue sofferenze, i suoi bisogni, ma anche le sue certezze essenziali e le sue speranze.

La rilettura “apologetica” dei Padri della Chiesa

A partire da questo brano, ma anche da altri come l’incontro con il ricco ( Mt 19, 16-30), la conversione di Zaccheo ( Lc 19,1-10) o il ricco epulone ( Lc 16,19-31), i Padri della Chiesa si sono interrogati soprattutto sul rapporto tra ricchezza e povertà. Clemente di Alessandria fu il primo in una sua omelia – Quale ricco si salverà? – ad affrontare questo rapporto non in termini ideologici, ma di fede. Per il Padre apologeta povertà e ricchezza non sono entità valutabili moralmente, ma sono i ricchi e i poveri con la loro vita ad avere valenza morale. E usa parole fortissime contro i ricchi che, divenuti cristiani, nascondono i loro beni per non darli ai poveri. Li definisce “omicida: seme di Caino, discepolo del diavolo. Non ha il cuore di Dio, non ha la speranza di cose più grandi; è sterile, è secco; non è un tralcio della vigna celeste che vive in eterno”.

Clemente ha la convinzione evangelica che non è il povero “che ha ricevuto l’ordine di ricevere, bensì sei tu [il ricco] che hai avuto quello di dare”. Nella sua omelia Clemente di Alessandria delinea il rapporto tra ricchezza e povertà con equilibrio, tracciando tre punti che diventeranno punto di riferimento per la riflessione ecclesiale futura: la ricchezza in sé è un bene, essendo un dono di Dio; tutti gli uomini sono uguali e hanno tutti il diritto di usufruire allo stesso modo dei doni di Dio; il ricco, se vuole accedere alla vita eterna, ha il dovere ineludibile di condividere la sua ricchezza fino a sollevare la condizione del povero. I Padri della Chiesa successivi riprenderanno e svilupperanno queste linee. Ad esempio Basilio Magno critica una certa pietà distorta fatta di digiuni e sacrifici fini a se stessi e non rivolti al povero. Un pensiero che sembra ancora oggi molto attuale: “So di molti che digiunano, che recitano preghiere, che gemono e sospirano, che praticano ogni forma di pietà che non supponga spesa, ma che non sganciano un soldo per i bisognosi. A che servirà poi tutta questa pietà? Non per questo li si ammetterà nel regno dei cieli!” (Basilio, Homilia VII in divites , [H. VII i.d.] 3).

Successivamente, come in sant’Ambrogio, i Padri della Chiesa videro nell’aiuto al povero una vera opera di misericordia e di giustizia: “La misericordia è parte della giustizia. Questo significa che se tu, animato da misericordia, intendi dare ai poveri, ebbene, agendo così, non fai più di quanto non richieda la giustizia, secondo quanto dice la Scrittura: ‘Distribuì, diede ai poveri; la sua giustizia rimane per sempre’ (cfr. Sal 111,9)”. (Ambrogio, Esposizione del Salmo 118 , in PL 15, 1372.1410-1411).

Non abbiamo lo spazio per affrontare il tanto discusso tema del rapporto Chiesa-povertà nel Medioevo. Riporto solo la spiegazione della vita povera, che Cristo ha scelto per sé e per i suoi discepoli, data da san Tommaso D’Aquino: “Cristo scelse per sé genitori poveri e tuttavia perfetti nella virtù, affinché nessuno si glori della sola nobiltà del sangue e delle ricchezze dei genitori. Condusse vita povera per insegnare a disprezzare le ricchezze. Visse in semplicità, senza ostentazione, allo scopo di tenere lontani gli uomini dalla disordinata brama degli onori. Sostenne la fatica, la fame, la sete e le afflizioni del corpo, affinché gli uomini proclivi alle voluttà e delicatezze, a motivo delle asprezze di questa vita, non si sottraessero all’esercizio della virtù” (Tommaso d’Aquino, Opuscoli teologici, De rationibus fidei , nella ed. leonina dell’ Opera omnia , XL, Roma 1969, pp. 56 ss).

Il Concilio Vaticano II: “Una Chiesa dei poveri”

I Padri conciliari si interrogarono fin da subito sull’identità della Chiesa, e la risposta fu unanime, stimolata anche dalle convinzioni di san Giovanni XXIII: “Il mistero di Cristo nella Chiesa è sempre, ma soprattutto oggi, il mistero del Cristo nei poveri, poiché la Chiesa è sì Chiesa di tutti, ma soprattutto Chiesa dei poveri”.

Non si arrivò a un documento specifico sulla Chiesa dei poveri, ma l’attenzione a questo tema si ritrova in diversi passi nelle maggiori costituzioni conciliari, a cominciare da Lumen gentium , 8: “Come Cristo ha compiuto la redenzione attraverso la povertà e le persecuzioni, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa via per comunicare agli uomini i frutti della salvezza (…). Come Cristo (…) così pure la Chiesa circonda d’affettuosa cura quanti sono afflitti dall’umana debolezza, anzi riconosce nei poveri e nei sofferenti l’immagine del suo Fondatore, povero e sofferente, si premura di sollevarne l’indigenza, e in loro intende servire a Cristo”. L’intera Costituzione pastorale Gaudium et spes ha lo scopo di intessere un dialogo con le realtà sociali per superare le ingiustizie e le discriminazioni, compresa la lotta alla povertà con un’equa distribuzione delle risorse: “Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene all’uso di tutti gli uomini e popoli, così che i beni creati devono secondo un equo criterio essere partecipati a tutti, avendo come guida la giustizia e compagna la carità” (GS 69).

Vi è anche la denuncia dell’opulenza del mondo occidentale contro la dilagante miseria della stragrande parte del mondo: “Mentre alcune nazioni, i cui abitanti troppo spesso per la maggior parte si dicono cristiani, godono di una grande abbondanza di beni, altre nazioni sono prive del necessario per vivere e sono afflitte dalla fame, dalla malattia e da ogni sorta di miserie” (GS 88). In molti altri documenti del Concilio ritroviamo questa attenzione di una Chiesa povera per i poveri; per esempio nella Presbyterorum ordinis 6, dove la povertà è proposta come stile di vita ai sacerdoti, o nella Apostolicam actuositatem 8, dove è proposta ai laici come motivo di identificazione a Cristo mediante la solidarietà e la giustizia.

 

Da Paolo VI a Papa Francesco un appello corale per una “Chiesa povera, dei poveri”

Memorabile il discorso di conclusione del Concilio Vaticano II del beato Paolo VI rivolto ai poveri, ai malati a tutti coloro che soffrono: “O voi tutti che sentite più gravemente il peso della croce, voi che siete poveri e abbandonati, voi che piangete, voi che siete perseguitati per la giustizia, voi di cui si tace, voi sconosciuti del dolore, riprendete coraggio: voi siete i preferiti del regno di Dio, il regno della speranza, della felicità e della vita; siete i fratelli del Cristo sofferente; e con lui, se lo volete, voi salvate il mondo! Ecco la scienza cristiana della sofferenza, la sola che doni la pace. Sappiate che non siete soli, né separati, né abbandonati, né inutili: siete i chiamati da Cristo, la sua immagine vivente e trasparente. Nel suo nome, il Concilio vi saluta con amore, vi ringrazia, vi assicura l’amicizia e l’assistenza della Chiesa e vi benedice”. Tutta l’apprensione per il futuro dell’umanità e il suo amore per gli ultimi, Paolo VI lo esprime nella Populorum progressio 40: “Si danno delle situazioni la cui ingiustizia grida verso il cielo. Quando popolazioni intere, sprovviste del necessario, vivono in uno stato di dipendenza tale da impedir loro qualsiasi iniziativa e responsabilità, e anche ogni possibilità di promozione culturale e di partecipazione alla vita sociale e politica, grande è la tentazione di respingere con la violenza simili ingiurie alla dignità umana”. San Giovanni Paolo IIriprese e sviluppò per la prima volta in un’enciclica il tema dell’ opzione preferenziale per i poveri : “Desidero qui segnalarne uno: l’opzione, o amore preferenziale per i poveri. È, questa, una opzione, o una forma speciale di primato nell’esercizio della carità cristiana, testimoniata da tutta la Tradizione della Chiesa. Essa si riferisce alla vita di ciascun cristiano, in quanto imitatore della vita di Cristo, ma si applica egualmente alle nostre responsabilità sociali e, perciò, al nostro vivere, alle decisioni da prendere coerentemente circa la proprietà e l’uso dei beni” (Sollicitudo rei socialis, 41). Numerosi sono gli interventi a favore dei poveri e dei loro diritti nelle encicliche sociali di san Giovanni Paolo II.

Benedetto XVI nel messaggio per la Giornata mondiale della Pace, “Combattere la povertà, costruire la pace”, 1° gennaio 2009, riprende il tema di una Chiesa per i poveri: “Da sempre la dottrina sociale della Chiesa si è interessata dei poveri. (…) Quanto alla Chiesa, essa non lascerà mancare mai e in nessun modo l’opera sua. Questa consapevolezza accompagna anche oggi l’azione della Chiesa verso i poveri, nei quali vede Cristo”.

Ed ancora con forza richiama i cristiani al loro dovere di denuncia delle ingiustizie sociali: “ I cristiani hanno il dovere di denunciare i mali, di testimoniare e tenere vivi i valori su cui si fonda la dignità della persona, e di promuovere quelle forme di solidarietà che favoriscono il bene comune, affinché l’umanità diventi sempre più famiglia di Dio” (discorso alla Fondazione Centesimus Annus, 15 ottobre 2011).

Con Papa Francesco, questa storia inscindibile, “sacramentale” del rapporto tra la Chiesa e i poveri, che abbiamo cercato di accennare a grandi linee, trova una fertile accoglienza e maturazione fin dalla sua prima esortazione apostolica Evangelii gaudium: “Nel cuore di Dio c’è un posto preferenziale per i poveri, tanto che Egli stesso ‘si fece povero’ ( 2Cor 8,9). Tutto il cammino della nostra redenzione è segnato dai poveri” (EG, 197).

E ancora in modo esplicito Papa Francesco fin dai primi giorni del suo pontificato ha espresso in svariate occasioni il suo desiderio, che è anche il suo progetto per la Chiesa del futuro: “Per questo desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. Oltre a partecipare del sensus fidei , con le proprie sofferenze conoscono il Cristo sofferente. È necessario che tutti ci lasciamo evangelizzare da loro” (EG, 198).

Anche recentemente, nella visita ai luoghi di don Primo Mazzolari, ha ribadito: “A buona ragione veniva chiamato il ‘parroco dei lontani’, perché egli è l’anticipatore di una Chiesa in uscita, di strada. Non era nostalgico di una Chiesa del passato, ma era proiettato al futuro. Don Primo Mazzolari ci esorta ad essere una Chiesa dei poveri in cerca dei lontani”.

Poveri concreti – non povertà “ideologica”

L’indizione della Giornata mondiale dei poveri, che si aggiunge alle altre giornate mondiali indette dai Pontefici su svariate tematiche sociali, come la pace, le immigrazioni, ecc., ha la particolarità questa volta di non trattare una tematica. Non è la Giornata mondiale della povertà , ma la Giornata dei poveri , cioè di persone concrete; è la giornata dell’invito a incontrare il povero, a condividere con lui anzitutto il tempo dell’accoglienza e dell’ascolto, la mensa e i suoi bisogni. Papa Francesco per primo ci ha indirizzato a viverla in questo senso pranzando in quel giorno con 1.500 poveri in sala Paolo VI.

Si è dichiarato in questi giorni che con Papa Francesco si può delineare una “teologia della povertà”. Credo che sia più opportuno parlare di una “teologia del povero” come “ottavo sacramento” concentrandosi particolarmente sulle conseguenze morali di questa espressione usata per la prima volta dal beato Giacomo Cusmano (Palermo, 18341888), detto “il dottore dei poveri” (C. Bianco, Il povero, ottavo sacramento? L’epistolario di Giacomo Cusmano tra morale, spiritualità e pastorale , Edb, 2014). Inoltre nel messaggio di Papa Francesco si legge che questa Giornata non è rivolta ai soli credenti, ma a tutte le persone di buona volontà perché tutti riscoprano i valori fondamentali della convivenza civile, quali la solidarietà, l’accoglienza, la condivisione, l’ascolto, il mutuo soccorso.

Quindi la portata della Giornata mondiale dei poveri va oltre il solo aspetto religioso e diviene una vera e propria provocazione etica per le nostre società, per le nostre famiglie, per i nostri politici e per le nostre coscienze, abituate troppo spesso al “sonno” prodotto dalle false sicurezze del consumismo, e dalle paure narcisiste.

Carlo Maccari (teologo morale, docente all’Istituto teologico di Assisi)