Terremoto 2016

Due anni dal sisma, il vescovo Domenico: «Vale la pena restare o tornare se ritroviamo lo spirito di questa terra»

È il 24 agosto. Ricordi, memorie e interrogativi sul futuro nel grande tendone allestito ad Amatrice per la solenne celebrazione tenuta dal vescovo Domenico a due anni dal terremoto che travolse il centro Italia.

È il 24 agosto. Ricordi, memorie e interrogativi sul futuro, nel gremito tendone allestito ad Amatrice per la solenne celebrazione tenuta dal vescovo Domenico a due anni dal terremoto che travolse il centro Italia. Ad animare la santa messa, il coro diretto da Cinzia Vannarelli, in un’atmosfera commossa di coesione e partecipazione.

Scelto tra i lettori un padre di famiglia che ha perso moglie e figli nei crolli di quella notte, sulla tovaglia che adorna l’altare, la scritta ricamata “un abbraccio per ricominciare”. Tante le corone, gli omaggi, le presenze istituzionali distribuite tra la folla, i soccorritori con i loro cani che si adoperarono a costo della stessa vita per salvarne altre.

«Figlio dell’uomo, potranno queste ossa rivivere?»: monsignor Pompili cita il libro di Ezechiele, e ripropone la domanda che fu posta al profeta, «una domanda che rimbalza fino a noi e riecheggia i nostri interrogativi: Potranno queste macerie risorgere? Tornerà ad essere abitato questo stupendo altopiano

Nello scoraggiamento di questi due anni difficili, fatti di lentezze e ritardi, dolori riaffiorati e nuovi problemi,  sono in molti a porsi domande sul futuro che verrà, e come verrà per questo popolo.

«C’è un’altra domanda che si insinua come un tarlo: Ma ne vale la pena?. E’ una domanda a tradimento più diffusa di quanto si pensi. Lo conferma il fatto che alcuni non sono più ritornati, che altri ci stanno pensando, che altri (il popolo delle “seconde case”) tornerebbero, ma non ci sono le condizioni. La domanda è scomoda, ma salutare. E costringe a chiedersi se crediamo o no alla rigenerazione di questa terra».

Il vescovo Domenico celebra il sacrificio di Amatrice, e ieri sera quello di Accumoli, dove tonerà per la celebrazione liturgica oggi pomeriggio.

Tuttavia, non si può prescindere dal volgere lo sguardo anche altrove, allargando le proprie vedute all’Italia tutta, che in queste ultime settimane è stato punteggiato da altre tragedie, anch’esse difficili da spiegare, difficili da accettare: «Questa terra è il simbolo del nostro Paese che va in frantumi: il ponte che si sbriciola, il canale d’acqua che travolge giovani vite, le città che sono diventate invivibili. Il mondo è fragile. E l’uomo lo è ancora di più. Fortunatamente nel testo visionario di Ezechiele si fa strada insistentemente una parola messa in bocca a Dio. La parola è spirito. Di fronte alla fragilità della materia c’è soltanto una possibilità: l’impalpabile e sfuggente realtà dello spirito».

Sull’essenza, il significato stesso dello spirito, è Gesù stesso nel vangelo di Matteo ad aiutarci a comprendere meglio, ad indicarci la strada giusta: Amerai il Signore Dio tuo. Amerai il prossimo tuo come te stesso.

«È qui il punto – prosegue monsignor Pompili – Così dicendo non solo mette Dio e l’uomo dalla stessa parte, ma riconcilia definitivamente spirito e materia. Dunque vale la pena di restare o di tornare se ritroviamo lo spirito di questa terra che è unica come i tanti piccoli centri dell’Appennino, abbandonati in nome di criteri solo economici e funzionali. Vale la pena di affrontare la ricostruzione privata e pubblica, se la burocrazia non paralizza lo spirito, cioè la buona volontà, dei singoli e delle istituzioni. Vale la pena di vivere tra queste montagne se prevenzione e investimenti sulla viabilità rompono il cerchio dell’isolamento fisico. Si, ne vale la pena!»

Certo, è difficile, c’è la burocrazia che paralizza, la mancanza di prevenzione, gli ostacoli della viabilità. Ma occorre farlo, occorre soprattutto spostare l’attenzione sul positivo, concentrasi su ciò che è stato fatto, si sta facendo e si farà ancora, facendo appello al proprio spirito di intelligenza, di responsabilità e di dedizione: «Basta allargare lo sguardo oltre il presente, non vedere più solo macerie, ma gru!»

In conclusione, la speranza: «Domani, non oggi, sapremo se – al netto delle cose fatte e di quelle ancor più numerose da fare – avremo conservato lo spirito che ci fa dire, a dispetto della realtà: Sì, ne vale la pena