Chiesa di Rieti

Con il sorriso nel cuore. Padre Luigi festeggia 50 anni di sacerdozio

Non poteva mancare, per padre Luigi Faraglia, una tappa al Terminillo nel calendario di festeggiamenti per il suo cinquantesimo di sacerdozio: perché è proprio qui, all’ombra del campanile del tempio allora in costruzione, che è sbocciata la sua vocazione francescana

Non poteva mancare, per padre Luigi Faraglia, una tappa al Terminillo nel “multiplo” calendario di festeggiamenti per il suo cinquantesimo di sacerdozio. Perché è proprio qui, all’ombra del campanile del tempio allora in costruzione, dove suo papà lavorava al cantiere e lì accantospesso saliva da Lisciano a tagliare il fieno, che è sbocciata la sua vocazione francescana che l’avrebbe poi portato a prendere i voti tra i Frati Minori Conventuali, l’ordine cui apparteneva l’artefice del santuario terminillese dedicato al Patrono d’Italia, padre Riziero Lanfaloni, e poi a diventare anche prete.

E a padre Riziero sarebbe poi succeduto, nel 1982, come parroco della stazione montana, ereditando dal caparbio frate la custodia del magnifico templum pacis. Per poi essere lui, una volta che, nel 1996, l’ordine stava ormai decidendo di lasciare l’attività pastorale sul monte, a lanciare l’idea di crearvi una piccola comunità stabile, facendo per questo “la corte” a padre Mariano Pappalardo, monaco benedettino che si trovava in quel momento a Terni e desideroso di avviare una nuova esperienza che fondesse i principi della Regola di san Benedetto con lo spirito di semplicità e vicinanza al popolo del carisma di san Francesco. E quale miglior luogo del tempio che svetta sulla montagna che domina la Valle Santa che si onora di conservare un’insigne reliquia del santo di Assisi?

La presenza della fraternità monastica della Trasfigurazione al Terminillo è dunque in gran parte merito suo. E padre Mariano nono ha mancato di ricordarlo, nel rivolgere il saluto introduttivo e nell’omelia della Messa vespertina domenicale presieduta da padre Luigi all’indomani della festa dell’Assunta.

Un quadretto che riproduce lo splendido mosaico della Creazione che si ammira nell’abside della chiesa terminillese è stato il dono, consegnato a padre Luigi da don Luca, che con padre Mariano e il diacono Pietro affiancava il francescano in questa celebrazione giubilare.

Al lato dell’altare non mancava, poi, il segno che il frate conventuale ha voluto che lo accompagnasse in questi suoi festeggiamenti del mezzo secolo di ministero presbiterale: il reliquiario contenente una ciocca di capelli del confratello del suo ordine che da sempre lo ha ispirato: san Massimiliano Maria Kolbe. Una devozione, quella verso il francescano polacco che fondò la Milizia dell’Immacolata e che, internato dai nazisti ad Auschwitz, volle offrire la sua vita in cambio di quella di un altro prigioniero, morendo “martire della carità” nel bunker della fame del famigerato lager il 14 agosto 1941, che accompagnò il frate nativo di Lisciano sin dall’inizio della vocazione (quando padre Kolbe non era ancora nemmeno beato). Ecco così che la reliquia “veglia” su queste sue celebrazioni giubilari.

Due giorni prima, nel dies natalis del santo suo confratello, un particolare momento lo aveva vissuto al santuario francescano della Foresta, insieme con le religiose della diocesi e il vescovo Domenico. Nel celebrare l’Eucaristia della memoria liturgica di san Massimiliano, monsignor Pompili non ha mancato di sottolineare questo particolare vincolo spirituale che a lui lo lega. Le parole con cui nell’inferno di Auschwitz padre Kolbe, presentandosi come sacerdote cattolico, salvò la vita a un padre di famiglia «resero meno disumano il campo di concentramento con questo atto di donazione», ha detto il vescovo. E padre Luigi, che a questo modello si è sempre sforzato di ispirarsi, «a suo modo contribuisce a rendere più umano il mondo in cui viviamo».

Di qui la gratitudine della comunità cristiano verso padre Luigi «per il suo carattere positivo e solare che lo spinge a guardare con fiducia agli altri, senza lasciarsi ipnotizzare dalle difficoltà». Un grazie anche «per l’attenzione che ha avuto per i bambini della Bielorussia che continua nel suo impegno per una generazione di deportati che rischiano di perdere l’appuntamento con la storia», ha detto il presule riferendosi alla lodevole esperienza che padre Faraglia ha lasciato in eredità a Cattolica, dove ha operato prima di tornare nella sua terra di origine come membro della fraternità francescana interobbedenziale di Rieti e dove la Fondazione “Aiutiamoli a vivere” prosegue l’attività di accoglienza continua dei piccoli bielorussi che continuano a soffrire le conseguenze di disastro di Cernobyl.

E un grazie, ha aggiunto Pompili in riferimento al servizio di cappellano che padre Luigi svolge nella struttura della Asl che accoglie i malati terminali, «per la sua vita di pastore che si rende prossimo agli ammalati dell’Hospice e non fa mancare il conforto della preghiera e della solidarietà a chi vive l’ultima stanza della sua vita». Proprio come fece padre Kolbe nell’accompagnare, morendo lui per ultimo in quel bunker, gli altri nove prigionieri incontro alla morte.