Basta con i bimbi contesi

Riprovevole messa in onda del filmato del piccolo Leo. Usato senza scrupoli

Nella sua semplicità, è agghiacciante il filmato in cui un bambino in braccio al padre spiega (in buon Inglese con sottotitoli in Italiano) perché preferisce stare con il genitore, Maurizio Rigamonti di Parma, invece che con la madre, ex moglie dell’uomo. Nel filmato il piccolo in primo piano esordisce dicendo di aver qualcosa da dire sulla madre: “Voi penserete che mio padre sia cattivo, ma è il contrario: la mia mamma è cattiva. Lei mi ha minacciato per farmi dire un sacco di cose brutte su mio padre”. E intanto abbraccia il suo papà.

Il bambino che parla è Leo, 8 anni, salito alla ribalta delle cronache nei giorni scorsi perché da anni al centro di una disputa fra il padre e la ex moglie, fra denunce e sentenze per aggiudicarsi la sua tutela. A causa di un rapporto burrascoso, i due sono separati e tempo fa la donna – di origine americana – aveva portato il bambino con sé a Los Angeles. Un provvedimento di affidamento condiviso ha stabilito che il piccolo può trascorrere del tempo anche con il padre in Italia, come è successo durante le ultime vacanze di Natale. Dopo le feste l’uomo, che avrebbe dovuto riportare il bambino alla donna, era sparito insieme al figlio provocando la denuncia della madre e diffondendo, per tutta risposta, il video sotto accusa.

Gli elementi critici della messa in onda di questo filmato sono molteplici, a partire dallo sfruttamento del minore e dalla pesante violazione della sua privacy, tutelata dalla legge e dalla deontologia mediatica soltanto sulla carta. Non basta una pecetta nera sugli occhi a camuffare l’identità di Leo, peraltro assolutamente riconoscibile nelle intenzioni del padre a cui siede in braccio per l’occasione.

Il genitore lo usa come una vera e propria “arma” di difesa, se non addirittura di ricatto affettivo, per mostrare a tutti l’attaccamento di suo figlio verso di lui e la presunta ostilità nei confronti la madre. Le parole di Leo paiono tutt’altro che spontanee ed è evidente il condizionamento psicologico esercitato dal padre, che lo imbecca ripetutamente davanti alla videocamera.

Anche la iper-diffusione del video proposta dalla tv, tanto nei telegiornali di maggiore ascolto quanto nei programmi di approfondimento nei palinsesti quotidiani, merita una pesante critica negativa. Le testate giornalistiche televisive hanno non soltanto il diritto ma anche – anzi, soprattutto – il dovere di raccontare la realtà anche nei suoi aspetti più drammatici, ma devono attenersi ad alcuni obblighi: non speculare sulle difficoltà o sul dolore altrui, rispettare la privacy delle persone in generale e dei minori in particolare, non ricorrere allo shock emotivo per incrementare gli ascolti facendo leva sulla curiosità del pubblico, non spettacolarizzare le situazioni private in nome del sensazionalismo più becero. Non è il primo esempio di video shock che ha per protagonista un bambino conteso, ci piacerebbe che fosse l’ultimo.

Fortunatamente il caso si è risolto nel giro di breve tempo e il padre ha riportato a casa il bambino, in attesa dell’udienza per l’affidamento. Se così non fosse stato, avremmo visto e rivisto in tv – ma anche online – il filmato in questione. All’inizio del quale Leo esordisce con una frase che la dice lunga sul cortocircuito mediatico e spettacolare che segna questa epoca dell’immagine: “Ciao, sono Leo, certamente voi mi conoscete già…”.

No, Leo, non ti conoscevamo, anche se il tuo caso è aperto da qualche tempo. Ma adesso che la tua voce e il tuo volto sono rimbalzati sui nostri schermi, ci siamo ritrovati in qualche modo a prenderci cura di te. Facciamo il tifo per la tua serenità, augurandoti una vita tranquilla al riparo dai riflettori, legami affettivi saldi e un rapporto sano con i tuoi genitori che, al di là di tutto il bene che entrambi ti vogliono, devono evitare di usarti come uno strumento per difendere i loro interessi personali invece dei tuoi.