6. “Pacem in Terris”: l’aspirazione più alta della famiglia umana

«Non è il Vangelo che cambia ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio»

È l’indicazione che abbiamo scelto per sottolineare la prospettiva e l’approccio alle grandi tematiche che Giovanni XXIII ha affrontato in modo inaspettato nel magistero che ci ha lasciato. Sono le parole che aprirono il Concilio Vaticano II, l’evento che aprì a sua volta la Chiesa al mondo e il mondo alla Chiesa. È il Pontefice della “Mater et Magistra” e della “Pacem in Terris”, l’Enciclica dedicata alla Pace. Tanti gli spunti a cui poter dare rilievo, certamente uno ci colpisce più di altri, il riferimento agli “uomini di buona volontà”. Pochi termini ma di enorme portata. È un’espressione inserita in un quadro più ampio, quello riferito alla Pace, una realtà a cui ogni uomo tende, un’esigenza antropologicamente definita capace di orientare le scelte personali e collettive. La Pace è la meta a cui ogni componente la famiglia umana aspira e che può essere ragionevolmente raggiunta perché di tutti, nessuno può attribuire a se stesso la peculiarità di una tale aspirazione, per questo è di ognuno, in modo particolare diventa espressione del vivere e dell’operare degli uomini buoni, operosi, accoglienti. Uomini che ricercano ciò che unisce piuttosto che ciò divide, uomini qualsiasi, anonimi e invisibili ma che con la loro generosità parlano e colgono l’umanità dell’altro prima della sua cultura, della sua fede, del colore della sua pelle o della filosofia esistenziale di cui sono espressione. Uomini chiamati a cambiare la storia, attrezzati con la verità, la giustizia, la carità e la libertà. Questa consapevolezza, per quanto sempre presente nell’insegnamento della Chiesa, diventa ancora più realistica proprio negli anni ’60, il Pontefice parla infatti in un momento storico delicatissimo, dove la corsa agli armamenti e la guerra fredda, avevano portato ad un passo dal conflitto atomico, evitato anche tramite l’intervento di Papa Giovanni XXIII. Parole che pesano nella storia dell’umanità, in cui ogni uomo poteva e può riconoscersi, gli uomini di buona volontà. Basterebbe questo inciso per aprire una riflessione davvero utile alla costruzione della Pace. Nella “Pacem in Terris”, datata 11 aprile 1963, il Papa buono con semplicità disarmante e intuizioni di portata mondiale, apre una pista nuova nella riflessione della Dottrina sociale della Chiesa. Il taglio è essenzialmente pastorale in direzione di una genuina accoglienza delle istanze più importanti e nobili del mondo contemporaneo pur mantenendo le identità specifiche. Aspetto non di poco conto per costruire la Pace. L’Enciclica non si sofferma su una riflessione teorica in merito alla Pace ma rimanda sia ad aspetti strettamente pratici nell’edificarla, che puntualizzando quanto è a monte della Pace stessa, la sua precondizione indispensabile: la coscienza dell’uomo, credente o meno, perché in essa abita questo desiderio. La Pace non è quindi semplicemente possibile ma è anche “doverosa”. Essa dipende da ciascuno ed è quindi il risultato di rapporti umani fondati sulla verità, sulla giustizia, sulla carità e sulla libertà. Questi i quattro pilastri, le coordinate di fondo da tener ben presenti nell’ambito di ogni scelta e azione umana, perché la Pace è l’orizzonte stesso della storia. Solidarietà e carità, non la “legge del più forte”, giustizia e libertà, non egoismi e utilità personali, centralità della persona e superamento dei confini confessionali di medioevale memoria, sono le dimensioni nelle quali la storia costruisce la Pace e quindi il futuro. Di converso la guerra nasce dove abbonda l’ingiustizia, dove è mortificata la libertà, dove vive l’egoismo e l’imposizione dottrinale censurante. Emerge in modo dirompete una nuova consapevolezza, evidentemente diretta conseguenza della questione cubana, che supera le posizioni del passato: l’uomo dispone di armi potenti come non mai, capaci di distruggere intere popolazioni. Di fronte a questa potenza devastante la guerra ha ancora meno senso, tanto meno le “guerre giuste”, occorre un’altra strada per affrontare il conflitto. Ora più che mai, la conflittualità deve essere affrontata in sede internazionale, alla ricerca del bene comune, la vita stessa sulla terra. I potenti della terra possono fare solo due scelte: continuare nell’essere sordi alle esigenze di Pace condannando se stessi, la terra e l’umanità intera alla guerra da cui non si ritorna, oppure ascoltare il gemito della famiglia umana e cambiare direzione, preservando se stessi e la terra. Organismi e politiche sovranazionali sono, secondo il grande Papa, la via maestra per vedere rappresentata l’aspirazione più alta dell’intera famiglia umana, la Pace in terra.