Quel tempio nuovo miracolo di Francesco

Il francescano conventuale umbro sul monte ascoltava la voce di Dio, quasi una missione per un’impresa d’arte che si può considerare un prodigio del santo.

L’ultima volta che intervistai padre Riziero Lanfranconi fu per «Frontiera». Non raccontai proprio tutto. Tralasciai i risvolti spirituali. Riscendendo in città dal monte Terminillo, mi risuonava all’orecchio lo scherzoso modo del padre mio amico di spiegare il carattere dei reatini. Ci definì “acquagnoli” sorridendo, perché i nostri padri avevano vissuto per secoli nella palude a basso, ricavandone il carattere di persone meno interessate alle questioni pubbliche e più alle proprie, restie a ribellarsi a soprusi, ribalderie, angherie.

Lui, invece, era stato spesso autoritario e imperioso per rimuovere gli esiti negativi di quel difetto caratteriale che abbondava nelle deliberazioni delle autorità locali.

Ebbi la certezza che il padre era entrato in uno spazio temporale e spirituale in cui il desiderio era di ricercare l’umiltà, virtù che ai tempi giovanili gli aveva fatto penuria, bisogna ammetterlo. Gli era scappata la pazienza molte volte e questo si sapeva, per ritardi e incaponimenti burocratici.

L’altro che mi colpì fu che il tempio, risultato da un impeto giovanile scaturito dal programma fiammeggiante degli inizi, doveva essergli stato suggerito, come diceva aprendo il suo bel volto al sorriso, dal suo Francesco.

Sciando, la velocità fa fischiare il vento. E il vento ti parla. La voce che diceva di udire era di un Essere che lo sovrastava. Gli ritornava in sogno, come agli antichi profeti, e nella preghiera silenziosa esercitata tra le mura
della chiesetta degli alpini o scendendo veloce lungo i crinali della Cinzano, sempre nel silenzio di cui il vento era il padrone. Forse pensò che fosse l’Angelo del Signore, così come accadde ad Elia.

Ebbi a dirgli se quell’arte che figurava prorompente entro il tempio, sua creatura, e l’essenza tutta umbra in modo traboccante e lo spirito che vi si respirava, e le opere di quegli artisti che le avevano realizzate e che lui aveva scelto uno ad uno e chiamato dal Perugino, rispondevano ad una sua particolare estetica mirata, uniforme allo spirito francescano, con ambiente e raffigurazione, ispirata ad una catechesi progettata per portare a Cristo le anime dei terminillesi, avendo per “sussidio didattico” il creato di quassù, la neve, il sole e le bellezze del trittico di Sassetelli.

Non me li recitò, ma fece un richiamo ai versetti del Salmo 68: «Loderò il nome di Dio con il canto, lo esalterò con azioni di grazie e poiché mi divora lo zelo per la tua casa, ricadono su di me gli oltraggi di chi ti insulta».

Ai primordi del francescanesimo, quando ministro generale era Crescenzio da Iesi, il capitolo generale dell’ordine dei Minori si radunò a Genova nel 1244 e stabilì di stilare una nuova biografia di san Francesco, poiché le storie della vita e i racconti dei suoi miracoli erano divenuti incontrollabili. Due anni dopo, l’11 agosto 1246, i frati Leone, Angelo e Rufino, scrissero a Crescenzio: «Noi, che siamo vissuti più a lungo insieme con lui… abbiamo ritenuto opportuno di presentare … alcune tra le molte gesta di lui, delle quali siamo stati spettatori o di cui abbiamo attinto notizie da altri santi frati».

La lettera detta dei tre compagni (la Legenda trium sociorum) fu compilata nell’eremo di Greccio. L’elenco dei numerosi atti prodigiosi di Francesco finì così nella Vita secunda di Tommaso da Celano.

Ora, se si giudicano i tempi, le difficoltà, le tempestose vicende, le invidie, le gelosie e i contrasti, animati e sostenuti dal diavolo che, quando i cristiani vogliono onorare Dio, ci mette più di una sua coda di mezzo ad impedirlo, bisogna dire che la erezione del tempio del Terminillo fu possibile grazie ad un prodigioso miracolo del santo.

Se fosse stato operato in quegli anni di Leone, Angelo e Rufino, i tre compagni l’avrebbero inserito tra i miracula certi e documentati, che il Celano avrebbe poi posto nella sua celebre Vita secunda. Quel pomeriggio della mia intervista, fui turbato perché il padre Riziero mi parlò della sua intensa ricerca e mi ricordò che della sua serva Maria Dio aveva guardato solo l’umiltà, scegliendone il ventre da cui far nascere suo Figlio.

Non era forse quello il Tempio di tutti i templi?

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