Woman in art: dialogo con Maia Palmieri

Si è conclusa pochi giorni fa una mostra d’arte tutta al femminile realizzata da Maia Palmieri e Itzel Cosentino e ospitata dall’Auditorium dei Poveri. Ne abbiamo approfittato per realizzare un’intervista doppia e indagare sul rapporto tra artisti e città.

«La mia parte di mostra è fatta di pittura e scultura, anche se il discorso sulla pittura è particolare, perché affrontare l’immagine “piatta” è un problema tutto particolare per chi preferisce lavorare a tuttotondo» racconta Maia Palmieri. «C’è però una tipologia di pittura che mi piace, anche grazie alle possibilità dei colori».

In mostra hai portato anche vera e propria oggettistica: gioelli, borse…

Sì, da un anno lavoro con il plexiglas. È un materiale affascinante nella sua trasparenza, anche se non è facile da lavorare. Ho iniziato con il produrre questa borsa che sto cominciando a portare anche fuori dall’Italia. Nel nostro Paese è apprezzata tantissimo dal punto di vista estetico, meno dal punto di vista funzionale. Ma ovviamente non è una borsa per andare a fare la spesa.

Continua a incuriosirmi questo problema: l’artista a Rieti può vivere della propria arte o deve fare altro?

Deve fare altro ovviamente, non puoi vivere solo dei sogni. È bello sedersi al tavolo, progettare una borsa e realizzarla. Ma poi ne vendi solo cinquanta, o cento, vale a dire che non rientri mai veramente dell’investimento fatto. Però se tra una borsa e l’altra capita qualcosa su commissione ci si riesce a pagare la giornata. Più facile è vendere i gioielli, grazie al prezzo più basso.

Ma allora qual è il rapporto tra l’arte e l’artigianato e la città?

Messo da parte il problema di considerarsi artista piuttosto che artigiano, il tema della risposta da parte della cittadinanza rimane un po’ problematico. Forse ha pipù successo l’artista, nella misura in cui va fuori dalle righe. Se si ricade nel campo dell’artigianato non è difficile trovare l’hobbista che sminuisce e dice «quello lo posso fare pure io».

E le istituzioni capiscono che c’è qualcosa di originale che si muove in città?

Le istituzioni – sarà la crisi o il periodo – non hanno molta attenzione. Magari qualche volta c’è l’interesse a farsi fare qualcosa, ma i prezzi sono bassi, è tutto un “pagherò”, “poi vediamo”, “ce lo regali”…

Forse le istituzioni seguono un po’ da lontano questo settore lasciando anche le esperienze vitali a se stesse…

Direi che non si è mai presi troppo sul serio. Se organizzi un bel catering, viene certamente apprezzato e lo pagano. Se tiri fuori oggetti da regalo, o di souvenir artistici non vengono presi in considerazione, forse perché in fondo non ci si crede tanto.

C’è anche un problema di spazi rispetto ad una mancanza di respiro dell’esperienza artistica?

In realtà gli spazi sono in aumento. Era un problema anni fa, quando ho iniziato. Oggi si trovano diverse sinergie, che fanno bene all’artista e a chi lo ospita. Il problema di fondo è che la risposta della città è come quella di quindici anni fa, non è cambiato niente. Sembra una città un po’ addormentata, e si direbbe pure difficile da svegliare, perché in fondo di iniziative e manifestazioni ce ne sono tante. Ma la città rimane sempre un po’ fredda. Funziona la serata di gala, dove si va con l’abito da sera, molto meno la mostra d’arte. Magari con la scusa improbabile del non lo sapevo, non l’ho sentito, eccetera…