Si è conclusa pochi giorni fa una mostra d’arte tutta al femminile realizzata da Maia Palmieri e Itzel Cosentino e ospitata dall’Auditorium dei Poveri. Ne abbiamo approfittato per realizzare un’intervista doppia e indagare sul rapporto tra artisti e città.
«La mia parte di esposizione – spiega Itzel Cosentino – riguarda principalmente il tema del corpo. Sono indagini figurative sul volto, sulle espressioni e sulle emozioni che possono trasparire dalle immagini. Accanto a questo c’è una parte dedicata ai paesaggi realizzata con una macchina fotografica Rolleicord, che impressiona negativi 6×6».
È interessante questo uso di macchine fotografiche dal digitale come della pellicola. A mezzi diversi corrispondono risultati e linguaggi diversi?
Negli ultimi anni ho lavorato come fotografa e quindi soprattutto con il digitale. Ma ho anche una passione per il la pellicola. La fotografia chimica rispetto al digitale ha altri tempi e altre emozioni. Non si può vedere immediatamente il risultato: c’è un’emozione particolare nello scoprire se lo scatto è venuto o meno bene. Ogni volta è un enigma e una sorpresa.
La mostra dà il segno di un pensiero creativo in città. Che rapporto c’è tra l’arte e Rieti?
Da quando sono a Rieti ho potuto fare diverse mostre, ma l’interesse della città non è altissimo. Se ci si sa adattare non è impossibile esporre; più improbabile è vendere. In generale nel pubblico sembra mancare la curiosità. Eppure non mancano proposte culturali interessanti
E quindi come si mantiene l’artista a Rieti?
Facendo altro. Io con la fotografia sono stata abbastanza fortunata e sono riuscita con la mia passione anche a guadagnarmi da vivere. Ma è comunque un “far altro”: è difficile vendere le foto di set, più facile è vendere immagini di cronaca ai giornali.
In ogni caso si direbbe che l’esperienza dell’Auditorium dei Poveri stia diventando un punto di incontro per gli artisti e gli “intellettuali” che continuano a restare a Rieti nonostante le condizioni sembrino avverse…
Sì, è un bellissimo punto di ritrovo. All’inaugurazione della mostra sono venuti diversi artisti. Esporre e avere tra il pubblico altri artisti è una cosa importante: per scambiarsi le idee, i progetti, i punti di vista…
Del resto la proposta di Women in art è stata aperta alla contaminazione sin dall’inizio. Non avete, per così dire, pensato l’evento in esclusiva.
No, ci piace pensare questi giorni come giorni dell’arte a 360 gradi. Infatti invitiamo a partecipare attivamente tutte le persone che vogliono unirsi con performance, danze, concerti. Ogni anno cerchiamo di arricchire e di coinvolgere persone nuove.
Ma in generale esiste un circuito di artisti reatini o ognuno va sulla sua strada?
Mah, dipende molto dalle persone, ognuno ha il suo carattere. Con Maia, ad esempio, abbiamo invitato chiunque volesse a partecipare alla estemporanea di disegno dal vivo con modella inclusa nella tre giorni di quest’anno. Abbiamo pensato fosse bello disegnare insieme. Ma molti si sono defilati sentendo nel disegno quasi una attività intima. Un po’ è così anche per me, ma so che quando poggio la matita sul foglio il segno viene da se e mi dimentico di tutto il resto.
Un altro aspetto è il rapporto tra artisti e istituzioni. C’è interesse o le istituzioni tendono ad essere indifferenti e a calare i discorsi dall’alto?
È una domanda difficile. L’anno scorso la mostra è stata visitata dal sindaco e da diversi assessori. Quanto meno c’è curiosità.
Ma alla curiosità segue anche il supporto?
Personalmente non mi è ancora capitato. Spero succederà…