Il vescovo alla città: anche nelle difficoltà, «siate sempre allegri nel Signore»

Lavoro, immigrazione, e post-terremoto: rivolgendosi a una Cattedrale gremita, mons. Pompili ha voluto riprendere l’insistente invito di san Paolo: «Siate sempre allegri nel Signore», non senza notare che per i nostri tempi questa prospettiva può sembrare «sopra le righe».

È stato un invito alla gioia il Discorso alla Città del vescovo Domenico. Rivolgendosi a una Cattedrale gremita, alla vigilia della festa della patrona Santa Barbara, mons. Pompili ha infatti voluto riprendere l’insistente invito di san Paolo: «Siate sempre allegri nel Signore», non senza notare che per i nostri tempi, questa prospettiva può sembrare «sopra le righe». Anche se le statistiche mettono la città di Rieti tra le più vivibili della nostra Regione, infatti, non mancano problemi e criticità. Don Domenico ne ha citati tre: il lavoro, l’immigrazione, il post-terremoto.

Giovani e lavoro

E non senza appoggiarsi a qualche numero: parlando dell’occupazione, ad esempio, ha rimarcato come nell’ultimo decennio siano andati perduti circa 7000 posti di lavoro. Una emorragia occupazionale che pesa soprattutto sui giovani, che sembrano «stesi», abbattuti dalle circostanze, destinati ad ingrossare le file dei Neet: «senza scuola, senza formazione, senza lavoro».

A fronte di questo, mons Pompili non ha offerto ricette, ma invitato a riconoscere ciò che resta alla nostra portata: «convergere su alcuni obiettivi facendo attenzione a non dividersi per ceti sociali: i commercianti da un lato, gli impiegati e i professionisti dall’altro; gli operai da un’altra parte ancora». E se per primo c’è senza dubbio il nodo delle infrastrutture necessarie per rendere attrattivo il territorio, anche l’annoso tema dell’acqua «potrebbe essere un collante, se ci si mette tutti dalla stessa parte e si cerca con la controparte una soluzione realistica. Quel che è certo – ha sottolineato il vescovo riprendendo la linea tracciata con l’Incontro pastorale dello scorso settembre – è che nessuno può starsene tranquillo finché la gran parte dei nostri giovani resta a casa dai genitori e non fa alcuna scelta di vita».

Immigrazione

Anche sull’immigrazione don Domenico è partito dai numeri: «nel nostro territorio provinciale sono accolte 798 persone, distribuite tra prima accoglienza, che garantisce vitto e alloggio, e seconda accoglienza, che punta ad una più completa integrazione sociale e culturale». La cifra aiuta a mettere a fuoco in modo realistico la proporzione tra nativi e immigrati, e accompagna l’invito a non «schierarsi tra buonisti e cattivissimi, tra furbetti e ingenui», a «cogliere il fenomeno per quello che è oggettivamente» e dentro quello «più ampio della mobilità umana». Passi necessari per capire «che fare rispetto a quelli che incontriamo per strada».

«Spetta allo Stato decidere dei flussi», ha notato il vescovo entrando nel cuore del discorso, ma «dopo la prima accoglienza, solo un migrante su tre viene accompagnato alla completa integrazione sociale. Gli altri non hanno la stessa fortuna e diventano un’emergenza da gestire». Uno «stato di cose» a fronte del quale il vescovo ha invitato a «riscoprire lo Sprar» che «coinvolge direttamente i Comuni e garantisce un’accoglienza integrata». Un esempio positivo, in questo senso, è quello della Comunità montana del Montepiano reatino, «che prevede di accogliere 50 richiedenti asilo e rifugiati», ma l’esortazione il vescovo l’ha rivolta direttamente ai sindaci, richiamando, insieme alle opportunità economiche e per lo sviluppo, «il vantaggio di distribuire in modo equo i migranti», che «consente di non subire il fenomeno, ma di orientarlo».

La ricostruzione

Quanto al post-terremoto, don Domenico ha rilevato come ancora non si veda «la linea dell’orizzonte intorno alla ricostruzione», riferendosi più a una dimensione progettuale che a una situazione pratica: «una volta eliminate le macerie bisognerà pur dire come e dove si va». Non sempre, infatti, a vent’anni da un disastro, i territori hanno conosciuto un miglioramento. E in un contesto già depresso anche senza il sisma, è tanto più necessario «riuscire a tirar fuori qualcosa di nuovo e di più promettente», senza aspettare che arrivi «da fuori».

Allegri in mezzo alle difficoltà

«È facendo leva sulle risorse di ciascuno – ha detto infatti il vescovo chiudendo il ragionamento – che si può stare allegri anche in mezzo alle difficoltà». Non tanto perché le difficoltà aguzzano l’ingegno, ma perché «stare allegri non significa essere spensierati, ma essere capaci di ripartire dall’essenziale». Entrando nel tempo di Avvento, don Domenico ha spiegato come l’allegria richiamata da Paolo si fondi sul fatto che «il Signore è vicino». L’incarnazione del Signore dice che non siamo abbandonati a noi stessi. Un messaggio di “perfetta letizia” reso trasparente da san Francesco a Greccio, nella notte del primo presepe, e testimoniato alcuni secoli prima dalla patrona della diocesi di Rieti. «Lasciamoci irrobustire da questa certezza interiore – ha concluso il vescovo – per essere come santa Barbara capaci di non recedere rispetto ai nostri sogni e di costruire insieme qualcosa che duri nel tempo».