In questi ultimi mesi, la favola finita (per ora) di Silvio Berlusconi ha assunto ancor più marcatamente i contorni de “I vestiti nuovi dell’imperatore”.
Nella celebre fiaba di Andersen, un sovrano eccentrico e vanitoso è dedito unicamente al culto della sua figura. Accade un giorno che due tessitori imbroglioni, giungono a corte per proporre all’imperatore un tessuto magnifico, inimitabile, che ha la straordinaria peculiarità di diventare invisibile agli occhi degli stolti: per non essere etichettati come tali, i suoi cortigiani, interpellati dall’imperatore, subito si affrettano a lodare la qualità superba delle stoffe, nonostante non riescano a vedere e a toccare alcunché. L’imperatore naturalmente non è da meno, e così dà l’ordine ai tessitori di realizzare un abito eccezionale, che “sfoggia” pomposamente in una grandiosa parata lungo le vie della città: il popolo, anch’esso a conoscenza delle caratteristiche del tessuto, saluta felice il suo magnifico imperatore. Ma all’improvviso un bambino grida «non ha niente addosso! Il re è nudo!», e il popolo finalmente si accoda al suo grido: il re è spaventato, capisce che hanno ragione, ma prosegue imperterrito la sua parata, con i cortigiani che insistono nel sorreggere lo strascico di un vestito che non c’è.
L’ultimo invisibile brandello del magnifico vestito di Berlusconi è caduto alle ore 22 circa dello scorso 14 novembre, che i contestatori di piazza del Quirinale e di Palazzo Grazioli hanno salutato come una nuova “liberazione”, un nuovo 25 aprile, inizio, suggello di un nuovo (presunto) processo catartico di carattere politico e sociale. Dalla “discesa in campo” del 1994 a novembre 2011, l’ “imperatore” Silvio ha attraversato il Paese con il suo circo, i suoi cortei di auto blu e grigie, di guardie del corpo, starlette, veline, mestieranti, ruffiani, avvocati, faccendieri, igieniste dentali, stallieri, menestrelli, le sue feste “esagerate” con ragazze minorenni tra statue di Priapo e incontri “piccanti” in cabina e a bordo piscina, i suoi rapporti con i personaggi discutibili della criminalità organizzata, le compravendite parlamentari, le sue barzellette, le sue gaffes nazionali e internazionali, i suoi fenomeni da baraccone. Come l’imperatore di Andersen ha imposto il suo credo sull’ostentazione, sul nulla, sui suoi interessi personali, sulla seduzione del potere, usando impropriamente le armi del populismo e dell’intrattenimento da villaggio turistico dentro un regno fatto di plastica, cartone e pubblicità, che trova una delle sue massime espressioni in quel fatidico 26/01/1994 in cui decise, con quel videomessaggio trasmesso nelle sue reti televisive, di occuparsi della cosa pubblica per «non vivere in un paese illiberale governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo ad un passato economicamente e politicamente fallimentare» (sic!): lì Berlusconi, dentro un capannone abbandonato, costruì il suo regno dell’invisibile servendosi di uno sfondo finto e di una calza posta sull’obiettivo della telecamera per rendere l’immagine più calda, familiare ed attraente, mentre tutto intorno vi erano invece calcinacci, rottami e macerie di ogni tipo. Gli italiani furono incantati da quel pifferaio magico che assicurava «il nuovo miracolo italiano»: Berlusconi inizia a sfoggiare il suo vestito migliore, che il popolo italiano credeva intessuto delle più grandi speranze e aspettative, ma che in realtà era invisibile e inconsistente come quello dell’imperatore della fiaba. E sempre come lui, anche Berlusconi raccoglie l’assenso della folla adorante, la soggioga con il carisma e con lo sfarzo, ne governa i destini dai suoi palazzi e dalle sue ville, dove la sua gigantesca corte raccoglie e perpetra esternamente il mito e il culto della sua personalità; in molti studi televisivi è spesso investito addirittura di «odore di santità» e di poteri taumaturgici, come quando Vespa, in un’indimenticabile puntata di “Porta a porta”, fa sentire un nastro registrato ad un tifoso del Milan caduto in coma, in cui la voce del Presidente del Consiglio lo sprona a guarire.
Il parallelismo tra la figura di Berlusconi e quella del monarca più o meno illuminato è inevitabile, imprescindibile almeno da un decennio a questa parte: Franco Cordero ha impeccabilmente definito quella di Berlusconi «un’anacronistica signoria fiorita fuori tempo massimo in Italia». Il signore di Arcore e di Milano (2) ha perso da pochi mesi le sue storiche roccaforti con le ultime elezioni amministrative, dove il centrosinistra, come si sa, ha riportato due clamorose vittorie, rispettivamente con Rosalba Colombo e Giuliano Pisapia: e anche dopo le dimissioni di Berlusconi, gli umori dei milanesi sembrano ancor di più costituire un coro unanime che si leva inesorabile contro l’uomo che più di tutti ha segnato la storia recente dell’Italia. A Milano non si sono visti i caroselli di Roma, simili a quelli della vittoria del Mondiale della Nazionale, né i lanci di monetine come quelli indirizzati a Craxi all’uscita dell’hotel Raphael a Roma, né orchestre improvvisate, né insulti e cori denigratori, né corna indirizzate da esponenti del governo e del Parlamento alla folla, ma nondimeno l’indignazione sembra farla da padrone in praticamente tutti gli interpellati: un pensionato afferma di «aver brindato, e di non sopportare Berlusconi dalla vittoria del ’94, quando fece fare telefonate con metodi fascisti nelle case delle persone per chiedere cosa pensassero della sua vittoria»; un altro ancora si lamenta che «Berlusconi non ha mai fatto nulla di rilevante per il nostro paese, ma ha governato basandosi solo sui propri interessi, con i vari Lodo Alfano, legge ex Cirielli, l’ingiusta abolizione dell’Ici», ma si ritiene almeno fiducioso sul governo Monti: e alla domanda «che aria si respira a Milano», risponde che «si respira la solita aria, ormai siamo abituati, tutti speriamo in un governo che risolva i veri problemi della gente». Un ragazzo dice di non interessarsi minimamente su quello che sta accadendo nel Paese (e questo è un dato che forse dovrebbe far riflettere), mentre un professore universitario afferma invece di «esserselo aspettato, e di non aver avuto quindi alcuna impressione particolare anche perché, in un momento come questo, penso sia stata la cosa più utile all’Italia ma anche politicamente più intelligente. Posso sperare solo che si possa giungere ad un qualcosa di positivo e si superi l’emotività del momento: da milanese non ho mai visto Berlusconi come un personaggio che si identifica con questa città, con la realtà di Milano, ho vissuto un’emozione particolare soltanto come cittadino italiano». Delle dimissioni di Berlusconi, una signora ne pensa «tutto il bene possibile, sperando che l’Italia possa trarre giovamento da questa situazione: era ora che ce ne liberassimo, ma spero che ci possiamo liberare al più presto del “berlusconismo”»; un’altra le fa eco manifestando «tutta la sua felicità, con l’auspicio che il futuro governo vada nella direzione della giunta Pisapia… per ora l’unica cosa da fare è dare fiducia al governo Monti»; una ex candidata alle elezioni europee nelle liste del Pdl, nonché ex giornalista, sfoga tutta la sua delusione, «poiché ci si aspettava un grande cambiamento, che non è avvenuto sia per volontà del governo e sia perché in generale l’Italia è un paese difficile da governare. Berlusconi non ha avuto l’intelligenza politica di dimettersi prima, quando era scoppiato il caso Ruby: in quel caso il governo si sarebbe dovuto affidare a Tremonti, unica persona di valore. Berlusconi ha fatto un’uscita ingloriosa, ha cercato di fare qualcosa per il Paese ma non ce l’ha fatta, anche perché l’Italia c’è da sempre l’eterno scontro guelfi-ghibellini, è un paese dove la mediocrità e il conformismo sono imperanti». Un’altra signora, elettrice di centrodestra, crede che invece «da una parte le dimissioni di Berlusconi siano state giuste, ma bisogna comunque vedere cosa fanno gli altri. Sono felice per le sue dimissioni, mi auguro che il nuovo governo faccia qualcosa di concreto anche per risolvere il problema degli extracomunitari, più in generale mi auguro che rimetta in piedi un paese distrutto come l’Italia», ed anche è preoccupata per il «generale senso di spaesamento che si avverte non solo a Milano, ma in tutta Italia, non si sa come andrà a finire»; una ragazza invece spera «in un cambiamento, in un periodo migliore. L’Italia, con questi lanci di monetine, questi insulti, sta diventando un paese sempre più barbarico, anche a Milano non si respira un’aria felice». Silvio Berlusconi è un uomo abituato da sempre a dividere, a spaccare l’Italia in due, ma per una volta sembrerebbe mettere d’accordo tutti: ritratto di un “feudo” che probabilmente non c’è più, e che ora più che mai è nudo come il suo re ed invisibile come il suo vestito.
L’introduzione dell’articolo è sicuramente “di parte”, ma ho comunque apprezzato molto il fatto che siano state raccolte opinioni da entrambi gli schieramenti, chi era contro Berlusconi e, soprattutto, chi ancora lo sosteneva.
“Ma tu guarda che sorriso da campagna elettorale
a lui bastano i trionfi dentro un regno di cartone
a noi invece serve un senso fosse una rivoluzione…”
Il re nudo – Nomadi
E rivoluzione è stata, comunque andranno le cose…risollevarci sarà dura, ma l’Italia ha imparato una grande lezione…indipendentemente dal credo politico di ciascuno
Hai sintetizzato perfettamente il disastro del ventennio berlusconiano…complimenti Nick, sei il meglio!:-)Spero di leggerti ancora al più presto
Sulla bravura del “Di Santo giornalista” non avevamo alcun dubbio, ogni riferimento è pertinente e l’articolo risulta decisamente scorrevole. Che dire: speriamo che l’Italia riesca a “rialzarsi”; io come sempre sono ottimista 🙂
Claudia