Sabina Universitas

Università e Consorzio, la Fondazione guarda avanti

«Consorzio e università sono due cose completamente diverse»: è sul filo di questa distinzione che il presidente della Fondazione Antonio D'Onofrio ha condotto la conferenza stampa sulle vicende della Sabina Universitas

«Stiamo da giorni sulla stampa e in tv per questioni e polemiche che amareggiano ma alle quali non replicherò. Quello che alla Fondazione e a me interessa è fare chiarezza sul futuro dell’università a Rieti»: così il presidente Antonio D’Onofrio ha aperto la conferenza stampa convocata oggi pomeriggio a Palazzo Potenziani dopo le dimissioni di Roberto Lorenzetti dalla presidenza del consorzio universitario e dalla vice presidenza della Fondazione Varrone.

CLa prima cosa che non è mai chiara abbastanza è che consorzio e università sono due cose completamente diverse. Cominciamo dal consorzio: il consorzio è una società messa in piedi per offrire servizi all’università. Per fare questo ha consumato 20,7 milioni di euro in 10 anni, senza di fatto chiudere mai un bilancio veramente in utile se non per cifre irrisorie e erodendo il patrimonio fino a ridurlo da oltre un milione di euro a 154 mila euro. Ciò perché per erogare i servizi che eroga spende troppo: questo è quanto la Fondazione Varrone lamenta almeno dal 2017 e che trova conferma nella due diligence della Gybe Consulting sui conti del consorzio».

Qui il presidente ha citato le conclusioni che individuano «nell’elevato livello dei costi per servizi la principale criticità riscontrata» e auspicano «una riduzione e razionalizzazione delle voci di costo al fine di evitare tensioni di natura economico-finanziaria che potrebbero minare la continuità aziendale prospettica».

E alle dinamiche finanziarie si lega l’altra criticità del consorzio, ovvero il mancato pagamento delle quote da parte dei soci. Al 30 settembre 2020, la Provincia doveva ancora 879 mila euro e il Comune 718 mila euro, praticamente la stessa cifra di cui il consorzio risultava debitore nei confronti della Sapienza (642 mila euro) e della Tuscia (774 mila euro).

D’Onofrio è poi passato all’analisi dei corsi universitari: «È evidente che il corso di Ingegneria Civile in lingua inglese e il corso di Scienze della Montagna – che richiamano una platea di 150 iscritti – benché di qualità indiscussa non possano essere considerati una sufficiente offerta universitaria alla città. A questo aggiungiamo pure i corsi per le professioni sanitarie della Sapienza che la Asl gestisce egregiamente, e che raggiungono una platea di circa 390 iscritti. Anche in questo caso parliamo di un’offerta di qualità ma comunque non adeguata a poter parlare di una università a Rieti, specie ora che stiamo uscendo da una crisi epocale e con il territorio che deve saper riposizionarsi».

«Alla luce di tutto questo, noi diciamo che il consorzio è il passato, l’università è il futuro. Ciò non significa liquidare il consorzio: al contrario, il consorzio va risistemato nei conti e utilizzato per quello che è, un erogatore di servizi. Ma ciò di cui la città ha davvero bisogno è una università vera, come ce l’hanno le altre province del Lazio. Con i fondi della Regione Lazio e con i fondi previsti dallo Stato ci sono le condizioni perché La Sapienza e la Tuscia possano implementare i loro corsi in città, potenziando l’offerta formativa. Ma perché questo accada dobbiamo volerlo tutti: per questo chiediamo un tavolo con tutte le forze vive della città che affronti questo tema. Bisogna avere il coraggio di alzare il tiro e di pensare a corsi davvero attinenti col territorio. Questa è la posizione della Fondazione. Quanto alle dimissioni di Lorenzetti – ha concluso D’Onofrio – se ho commesso un errore è stato quello di indicarlo per quel ruolo: un conto è essere uno studioso pure di indubbio valore, altro è saper gestire dinamiche societarie, peraltro di questa complessità. Il consorzio non finisce con lui: c’è un vicepresidente che ne assumerà la guida e andiamo avanti».