L’integrazione mediante la conoscenza di esperienze di vita è stato l’oggetto di un interessante incontro culturale svolto presso un locale adiacente alla chiesa parrocchiale di Santa Croce a Passo Corese, organizzato da esponenti dell’Ufficio Migrantes della diocesi di Sabina-Poggio Mirteto.
L’incontro è stato coordinato da don Pierangelo Iacobelli, dell’Ufficio Migrantes, che con partecipazione ha messo a proprio agio i rappresentanti di due comunità, quella africana e quella rumena, intervenuti per esporre all’intera platea le vicende che hanno caratterizzato la propria vita di migrante, i motivi che li hanno portati a compiere questa scelta radicale, le difficoltà incontrate nel cambiare vita.
Ha aperto il colloquio Daniela Rusnac, incaricata sul momento di far le veci della comunità rumena, che, sostenuta anche da una rappresentanza della summenzionata collettività e da padre Constantin Holban, parroco della chiesa ortodossa di Rieti, con evidente emozione, ha raccontato a tutta la sala le ragioni per cui ha dovuto rinunciare a molto per cercare di migliorare la condizione economica della propria famiglia dodici anni fa, spiegando che il venire in Italia è stato suggerito da una sua cugina, già abitante in un paesino del centro della penisola, dovendo lasciare nel proprio paese d’origine il marito ed una figlia piccola per quasi un anno.
Ha spiegato tutti gli ostacoli in cui è incappata arrivando in un luogo sconosciuto, in cui, per giunta, si parlava anche una lingua che padroneggiava ben poco, incontrando nuove usanze ed abitudini alla quale si è abituata gradualmente e che, con il tempo, ha integrato a costumi e tradizioni del proprio paese di provenienza.
In seguito ha preso la parola Gulain Tampwo, nato a Kinshasa, rappresentante della comunità congolese della diocesi. L’uomo, fisioterapista, è giunto in Italia vent’anni fa come rifugiato politico per fuggire dalla cruenza della guerra dilagante nel suo paese di provenienza, trovando accoglienza nella diocesi.
Lui ha raccontato, con la commozione che gli si leggeva negli occhi, che si è formato come volontario nell’ultimo corso presieduto dal mons. Luigi di Liegro prima della sua morte.
Ancor’oggi continua ad aiutare i proprio connazionali e, gli africani in generale , sia fungendo da punto di riferimento per fargli trovare un clima di accoglienza, sia per trovare loro un alloggio e aiutarli a svolgere le pratiche burocratiche. Sostiene la comunità congolese a Roma, è collaboratore di don Silvestre e di don Jose, e compie il suo servizio di assistenza con numerose difficoltà a causa dei pochi materiali a propria disposizione, ma nonostante tutto continua a portare avanti il suo servizio grazie alla sua fede in Cristo che lo aiuta a trovare le risorse necessarie.
L’uomo ha insistito sul fatto che nel luogo della sua origine la guerra continua a causare morte e disperazione e ha raccontato di ragazze madri che accoglie ed aiuta in seguito alla loro fuga dopo essere state violentate dai soldati. In quel luogo la povertà è dilagante, assoluta, perché sebbene la terra sia ricca di risorse, sono sfruttati e sottomessi e la comunità internazionale è a conoscenza di molti dei soprusi commessi ma non interviene.
Durante il suo discorso è giunto nel locale, mons. Ernesto Mandara, vescovo della diocesi di Sabina-Poggio Mirteto, che, quando Gulain ha terminato di esporre la propria esperienza, è intervenuto di fronte all’assemblea.
Il presule, mediante racconti tratti dalla propria esperienza personale, per mezzo dell’ironia ha dimostrato che, purtroppo oggi, in un mondo caratterizzato da una sempre più crescente globalizzazione, è ancora notevole la presenza di discriminazione, persino all’interno della chiesa stessa, verso gli individui provenienti da realtà differenti da quella conosciuta e che si tende a criticare e ad allontanare queste persone senza neanche cercare di conoscerle, almeno minimamente, anche se a suo parere da parte della popolazione natia non c’è un vero e proprio respingimento nei loro confronti.
Mons. Jean Basile Mavungu Khoto, vicario generale della diocesi di Boma (Congo), giunto nella penisola per un soggiorno di quaranta giorni, ha esortato di conoscersi per amarsi meglio, invitando gli emigrati ad integrarsi e ad acquisire una buona conoscenza della lingua.
Egli ha poi sostenuto che bisogna “aprire la porta per ricevere” perché se c’è chiusura non potrà giovarne alcuno, e ha invitato tutti a togliere i complessi di inferiorità e di superiorità.
Le persone che sostengono che il proprio territorio nazionale, nel caso qui analizzato l’Italia, dovrebbe essere abitata solamente da persone nate nella penisola, dovrebbero ricordarsi che molti dei santi presenti nel culto del Cristianesimo sono di provenienza estera, alcuni dei quali avevano anche un “diverso” colore della pelle.
Tutti dovrebbero aprire le porte del proprio cuore, soprattutto se sostengono di essere fedeli, rammentandosi che ognuno a suo modo è “migrante”, forse non nel senso comune della parola, ma ognuno di noi, almeno in parte, lo è.
Foto © Daniel Rusnac.