Un anno di grazia del Signore per tutti

Carissimi sacerdoti e diaconi,

vi saluto e vi accolgo con gioia in questo giorno speciale per il nostro sacerdozio e per la nostra vita cristiana. Rivolgo un particolare e fraterno omaggio a S. E. Mons. Lorenzo Chiarinelli e lo ringrazio per la sua vicinanza discreta e preziosa. Un anno di grazia del Signore: per tutti! Vorrei che fosse questo il tema di questa giornata e di questo tempo, per la nostra Chiesa locale.

Un anno di grazia per tanti eventi impegnativi per la Chiesa e per noi, ma un anno non solo in senso cronologico, quanto piuttosto in senso spirituale, pastorale, il kairos, il tempo propizio.

Lo abbiamo ascoltato da quella che viene definita l’omelia di Gesù. Egli predicò per tutta la Palestina del suo tempo, forse spesso si recava in sinagoga a leggere la Torah, ma di questa peculiare omelia abbiamo traccia proprio nel vangelo di Luca. Un’omelia lapidaria, scioccante se vogliamo dire così.

La citazione del passo di Isaia è e dovrebbe essere il nostro programma di vita sacerdotale, nelle mutate condizioni: annunciare ai poveri, liberare i prigionieri, aprire gli occhi ai ciechi, liberare gli oppressi.

È un programma difficile e impegnativo, un programma che Papa Francesco ha preso quasi alla lettera per il suo pontificato; Egli vuole quasi dimostrarci che l’attuazione pratica di questo programma non è poi così difficile.

I poveri devono stare al centro della nostra missione, non solo i poveri di sempre, chiamiamoli così, ma anche i nuovi poveri, le famiglie in difficoltà, i poveri che richiedono ascolto, vicinanza, consigli.

Liberare i prigionieri, anzitutto dai lacci del peccato, delle cattive abitudini, dei vizi, con la direzione spirituale, le confessioni, la predicazione, il dialogo.

Aprire gli occhi a chi non vuole guardare in faccia la realtà, con la sola arma del Vangelo e della mitezza di Gesù, della pazienza operosa e fiduciosa.

Liberare le persone oppresse dal senso di vuoto, dalla mancanza di speranza, dall’apatia spirituale.

Per questo un anno inteso in senso cronologico non basta, ma può essere un buon inizio.

Ogni anno è un segmento della nostra vita cristiana e pastorale che non può passare invano, e a cui dobbiamo dare senso, soprattutto attingendo a quella ricchezza che abbiamo nei Sacramenti, che in questa Messa sono quasi tutti riassunti in una mirabile sintesi teologica ed ecclesiologica.

Di questo parlavo qualche anno fa nella lettera alle “Querce di Mamre” in cui suggerivo di impostare i nostri programmi annuali sui sacramenti.

Come abbiamo potuto vedere anche la Santa Sede si è orientata in questo senso: abbiamo avuto un anno dell’Eucaristia, un anno della fede, quindi per riscoprire il Battesimo, un anno sacerdotale, quindi l’ordine, una anno della famiglia, delimitato da due Sinodi, quindi il matrimonio, ed ora un anno della Misericordia, in cui dovrà essere centrale la pratica soprattutto, ma anche l’approfondimento del sacramento della Riconciliazione.

Stiamo anche vivendo un particolare anno per la vita consacrata, che ci ricorda la grande ricchezza spirituale che promana dai religiosi, dalle religiose, di vita apostolica e di vita contemplativa: a tutti loro un pensiero speciale e una richiesta di tenere sempre presenti nelle loro preghiere le necessità della nostra Chiesa locale.

Grazie ai religiosi e alle religiose la nostra attività pastorale si giova dell’ossigeno necessario, del supporto spirituale, oltre che pratico e fattivo come spesso accade, per cui promuovere la vita religiosa di speciale consacrazione, vuol dire fare provvista di vitalità e di forze indispensabili.

Un anno di grazia del Signore: per Rieti!

Questo che stiamo vivendo è già un anno di grazia, poiché verosimilmente si concluderà il mio servizio episcopale in questa diocesi e un altro pastore sarà mandato a svolgere il suo: ognuno di noi è chiamato in un particolare momento a donare i suoi talenti e ad impegnarsi per realizzare quel programma che è risuonato nella sinagoga di Nazaret.

Non è tanto un tempo di bilanci, quanto un momento di verifica, soprattutto della tenuta della nostra incardinazione a questa Chiesa, non in senso giuridico ovviamente, ma in senso ecclesiale, sacramentale, pastorale.

È un bilancio per me, ma anche per voi sacerdoti che collaborate con me, per innestare il programma della sinagoga di Nazaret in questa Chiesa.

Dobbiamo riscoprire la ricchezza della nostra comunione fraterna nel sacerdozio e il nostro vincolo di unione con il vescovo, chiunque egli sia.

Spesso la manìa di fare da soli e di prescindere da questi due aspetti ci fa commettere errori seri e ci fa trovare in solitudine e tristi.

Mons. Francesco Lambiasi in una omelia per una ordinazione ha detto una frase che mi ha colpito, più o meno di questo tenore: «Il contrario della santità non è il peccato, ma la tristezza».

Vorrei aggiungere che la tristezza è spesso data dalla solitudine e dalla presunzione di stare nel giusto. Un sacerdote triste o aggressivo scaccia via tutti!

Voglio essere sincero e schietto, con voi sacerdoti anzitutto: con la maggioranza di voi ho sempre avuto un rapporto molto chiaro e aperto e anche un sostegno autentico; mi dispiace che alcuni, soprattutto negli ultimi tempi, non abbiano accolto di buon grado alcune mie scelte e abbiano intrapreso la via della collaborazione minimale, se non dell’indifferenza o addirittura della contestazione. Il tempo sarà il miglior giudice, umanamente parlando.

È, tuttavia, urgente, riprendere l’esame delle linee essenziali della nostra identità sacerdotale, della nostra spiritualità, della nostra formazione e dei capisaldi del nostro operare in senso pastorale. Ciò aumenterà la nostra comunione sacerdotale e il nostro senso di appartenenza. Purtroppo mi rendo conto che nonostante gli sforzi compiuti in tal senso anche da molti di voi, i risultati conseguiti non sono quelli sperati.

Anche questi sono gli elementi di un anno di grazia: avere la forza di riprendere discorsi incompiuti e ripartire con fiducia.

Un anno di grazia del Signore: per la famiglia!

Un anno di grazia è quello che stiamo vivendo prima del secondo Sinodo sulla famiglia. Papa Francesco ha intuito che la salute della famiglia è anche la salute della Chiesa.

Come avete potuto vedere vi sono almeno due orientamenti a questo riguardo: uno che considera il linguaggio sulla famiglia da mantenere inalterato, così come lo sono i contenuti; l’altro che si debbano cambiare linguaggi e contenuti, senza intaccare il deposito dottrinale.

Non si tratta di aperture o di chiusure, ma di comprendere bene cosa possiamo fare per la famiglia, come salvarla da alcune pericolose derive e come rapportarci alle situazioni di crisi e di fragilità.

Purtroppo non siamo riusciti a trovare momenti per approfondire i Lineamenta del Sinodo, perché siamo stati assorbiti da altre urgenze, ma sarebbe stato opportuno, e il tempo non è ancora completamente trascorso, cercare di rileggere i contenuti biblico-teologici, per interpretare alla luce della fede e del magistero l’epoca in cui viviamo e operiamo.

Un anno di grazia: per la Chiesa italiana!

Con il Convegno di Firenze la Chiesa che è in Italia cercherà di interpretare la figura e l’opera di Gesù non solo in un senso teologico o escatologico, quanto piuttosto nella sua dimensione antropologica, umana.

Il nuovo umanesimo del futuro della nostra Chiesa italiana ma anche a livello universale si fonda proprio sul modo di essere uomo e di presentarsi uomo di Gesù, pienamente radicato nella religione, nella cultura, nella tradizione del suo popolo di origine.

Ma anche un uomo capace di sottoporre a valutazione critica gli insegnamenti e le consuetudini, le acquisizioni e le attese che sono alla base di una comunità.

In questo senso lo stile di vita di Gesù, il suo modo di rapportarsi agli altri, la sua carità verso l’errante, ma anche la sua fermezza nei confronti dell’errore, il fascino del suo annuncio e del suo continuo confronto con il mondo, sono l’exemplum per noi sacerdoti e per tutti i cristiani.

Un nuovo umanesimo vuol dire anche una nuova cultura che non abbia paura della sfera religiosa, che non tema il sacro, ma che abbia anche il coraggio di scoprirne la ricchezza e le sconfinate possibilità di sviluppo e di realizzazione.

Diffondere lo stile di Gesù vorrà anche dire che il mondo del futuro sarà un mondo meno ingiusto, meno violento, meno disonesto.

I fatti di questi ultimi tempi, in cui abbiamo scoperto interi mondi basati sulla corruzione, sul malaffare, sulla immoralità, ci dicono che i cristiani che abbiamo preparato, una volta entrati appieno nella società civile non hanno esitato a siglare compromessi con il male.

Gesù è l’esempio della correttezza, dell’onestà e della trasparenza. Dobbiamo accostarci a Lui con maggiore slancio e fiducia.

Un anno di grazia: per tutto il mondo cattolico!

In questo senso l’anno giubilare straordinario della Misericordia, che ha annunciato Papa Francesco, ma del quale ancora non sono noti i termini, le iniziative, le modalità di svolgimento, si pone proprio sulla linea di una lettura complessiva, della realtà del mondo e della Chiesa.

Non appena ci giungeranno indicazioni attiveremo quanto sarà necessario per prepararci a questo anno giubilare, che dovrebbe essere dedicato proprio alle “periferie”, geografiche ed esistenziali, per portare l’annuncio della misericordia, del condono delle pene, del perdono dei peccati.

Come possiamo ben comprendere ci attende un futuro ricco di eventi, di stimoli, di possibilità.

Starà a noi e alla nostra lungimiranza seminare bene per poter poi raccogliere frutti.

Per questo è necessario che lasciamo operare dentro di noi lo Spirito del Signore, con disponibilità e fiducia.

Al termine della Messa troverete un mio dono in sacrestia: è il Direttorio omiletico della Congregazione del culto divino e la disciplina dei sacramenti, voluto da Papa Francesco dopo la Evangelii Gaudium.

È un piccolo segno per ripartire proprio dall’omelia per rinnovare le nostre comunità.

Auguro a tutti un tempo pasquale fecondo e gioioso.

Che il Signore ci accompagni nel suo anno di grazia!