Per tutti era Andrea del camposcuola

Neanche negli ultimi tempi aveva perso il “vizio”, Andrea. Perché per tutti lui era Andrea, del camposcuola: nient’altro. Nonostante quel male oscuro lo minasse già nel profondo, non aveva smesso un attimo di “far la corte” a mio fratello, Massimo, perchè convincesse la piccola Chiara – “nata per lo sport”, aveva subito sentenziato – a frequentare le piste di “casa sua”. E c’era riuscito, nella sua infaticabile, meravigliosa “pervicacia” di educatore, innanzitutto.

Andrea ed il camposcuola: un amore scoccato a prima vista e mai terminato. I due erano – e resteranno – un’unica, indissolubile entità. Un tutt’uno. Anche se “il campo” senza le sue caratteristiche urla, forse, non sarà più lo stesso. Una dinastia sportiva come poche, quella dei Milardi. Fratello di quel Renato, ineguagliato presidente della Sebastiani dei tempi d’oro, Andrea su quella pista aveva trovato tutto.

La sua ragione di vita: crescere giovani che amassero la “regina degli sport” e diventassero uomini e donne veri. La donna della sua vita: era venuta per uno dei primi meeting organizzati da Giovannelli – l’altro incredibile mentore della favola dell’atletica reatina – la giovane Cecilia Molinari, all’epoca velocista ineguagliata sulle piste nazionali, recordwomen sui 100. Fu amore a prima vista, e non solo. Con Cecilia condivideva la sua passione e con lei, da quel momento, l’ha portata avanti con risultati straordinari, per oltre quarant’anni. La sua famiglia: perchè i tre figli nati da quell’amore sbocciato sull’ineguagliato tartan del “Guidobaldi” hanno respirato la stessa passione, e di essa, oggi, sono i testimoni viventi. I prosecutori ideali.

Lo conobbi Andrea, prima che sul campo, a scuola, ai tempi della “Basilio Sisti”, verso la fine degli oramai lontani anni ’70. Era il mio professore di “ginnastica”: si diceva così, all’epoca. Altro che educazione motoria! Sapevo che conosceva bene mio padre, cronista in auge della ineguagliata nidiata di Pietro Pileri al “Messaggero”, ma lo temevo e lo rispettavo.Timore ed amore: questo per me come per tanti. Non faceva favoritismi, Andrea, anzi! Sapeva trasmetterti quel fuoco che aveva dentro. Lo sentivi, lo percepivi nel profondo. E così lo seguivi, senza discutere. Senza fiatare. Anzi: quando arrivava, immancabile, l’urlo e la conseguente punizione per aver disobbedito alle sue consegne sportive – spesso faticose per un ragazzetto all’epoca grassottello e un po’ pigro – sapevi di essertela meritata.

E così i gradoni del palazzetto o, sul campo, le Giorlandine in più, le accettavi come la correzione di un padre che castiga perchè ama i suoi figli, come dice anche la Scrittura. E’ la lettera agli Ebrei che mi viene in mente, oggetto di lettura frequente durante la settimana santa: «…il Signore corregge colui che egli ama e sferza chiunque riconosce come figlio. È per la vostra correzione che voi soffrite! Dio vi tratta come figli; e qual è il figlio che non è corretto dal padre?».

Per Andrea, d’altronde, i tantissimi giovani che hanno avuto la fortuna di incontrarlo, erano un po’ tutti suoi figli. Li ha accolti, li ha aiutati: spesso li è andati a cercare, a riprendere, a convincere perché non si perdessero, e non solo sportivamente. Con lui sono cresciuti ed a lui sono grati. La sua è stata un’opera umana e sociale di incalcolabile valore. I tanti riconoscimenti; i titoli infiniti vinti con la Studentesca, in fondo, non erano nulla, per lui, di fronte alla soddisfazione di aver “conquistato” anche solo un ragazzo al campo.

All’atletica. Alla vita vera. Molti di noi, chissà, lo pensavano immortale, e saperlo attaccato dal male ci ha lasciato attoniti, increduli, sgomenti. Ma la sua immortalità, oltrechè di figlio di Dio, è nel cuore di tanti dove “Andrea del camposcuola” continua e continuerà a vivere. Quel camposcuola che non può non portare il suo nome.