Chi tiene la cassa viene considerato di solito uomo di potere, ed è vero che è così. Avere la possibilità di gestire i soldi e di stabilire come usarli, soprattutto se appartengono alla collettività, è un potere, ma soprattutto una grande responsabilità.
Quando i soldi vengono usati male si sa che prima o poi arriva il redde rationem: qualcuno verrà a chiedere conto di come sono stati usati. In base al principio della “presunzione di innocenza” fino a sentenza definitiva noi crediamo che quanti sono accusati siano innocenti, ma ci piacerebbe che le sentenze definitive non arrivassero dopo anni di gogna mediatica e di dispendiose battaglie processuali.
I processi si devono fare se ci sono fondate, provate e altamente ragionevoli motivazioni, senza che si inizino processi puramente indiziari: la giustizia italiana questo non può permetterselo.
La vicenda Berlusconi, in questi giorni assolto in appello per la vicenda Ruby, ne è la testimonianza più lampante. Berlusconi ne è uscito politicamente vincente e i magistrati di primo grado sono stati sconfitti. La legge non punisce la immoralità, ma fatti che siano provati e contrari alla legge. La telefonata alla polizia e i soldi alla ragazza quasi maggiorenne, che non è esattamente e semplicemente come dire ancora minorenne, non sono reato.
Non si può prima cominciare un processo e poi cercare le prove. Neppure in caso di flagranza di reato è detto che si possa provare, ad esempio, lo sfruttamento della prostituzione. Se io sto fermo con la macchina sulla Salaria, e do una banconota da cinquanta euro ad una signorina in abiti succinti, la polizia che mi sorprende deve dimostrare che i soldi sono il compenso per una prestazione contra legem. Io potrei stare lì a restituire un prestito, ad esempio, o a fare un atto di liberalità.
Non mi si può fare un processo per questo, né sono lecite risatine o condanne morali. Io non dovrò provare di essere innocente, ma la polizia dovrà provare che sono colpevole, nelle indagini, però, non col processo.
Questo dovrà valere, mutatis mutandis, anche per i nostri politici e funzionari accusati di aver gestito male una cifra cospicua: si parla di trenta milioni di euro. Certo, le condizioni economiche del Comune di Rieti, di per se stesse, testimoniano che non vi è stata una buona amministrazione nel passato, cosa che capirono in tanti, se non tutti coloro che sono provvisti di un po’ di senno.
Molti ricorderanno come alcuni politici nostrani si scandalizzarono delle parole del vescovo Lucarelli alla predica di santa Barbara di due anni fa, e dalle risposte sembrarono piuttosto risentiti. Disse, più o meno, che chi aveva ridotto la politica reatina, ma soprattutto l’economia, nelle condizioni attuali avrebbe dovuto chiedere scusa, a prescindere dalla verità legale che verrà appurata nei tribunali. In quel momento un tuono fragoroso scosse le mura del duomo e alcuni uscirono anche un po’ impressionati.
Giuda ricevette trenta denari per tradire Gesù. Quei trenta denari li restituì ma non furono accettati dal Sinedrio perché “sporchi” di sangue. Il Comune di Rieti non riavrà i trenta milioni di euro proprio da nessuno, la città è tra quelle italiane più povere e malmesse, gli accusati non saranno diventati ricchi, e forse saranno – glielo auguriamo – assolti, magari per un errore di legittimità.
Così va il mondo.