Cari amici di «Frontiera», torno a scrivervi a proposito del felice ritrovamento, fra le carte del compianto Amb. Giorgio Di Fazi, di numerosi manoscritti orientali di età antica. Pare che tali papiri, di fonte eruditissima, citino fra l’altro la Maremma e la Valle del Salto.
Gli studiosi di ideopaleografia della nostra Accademia stanno cercando di decifrare i loro misteriosi contenuti, che farebbero pensare ad una corrente zen di scuola Chan, quella basata sul motto «la via morale ci salva dalla miseria». Incomprensibilmente tali documenti ci arrivano, però, da una raccolta della scuola rivale, detta Obaku («Il sentiero Fiorito conduce il popolo alla libertà»).
Affascinanti, comunque, i frammenti di questo “Trattato delle illusioni passate, delle lontananze e delle dotte citazioni”. Quanti rotoli illustrati! Quanti maestri! Ad ogni palinsesto, almeno sette nomi di saggi e relativi insegnamenti. E quanti racconti, di campagna e di città, di guerra e d’infanzia, di sport e di maiali!
Otteniamo così preziose informazioni, un assaggio di quella lontana cultura. Quanta saggezza! Si veda, ad esempio, la pergamena n.8: «chi non ha memoria non ha passato», oppure la n.115: «l’umanità dell’uomo è in ogni uomo». Chi può, rifletta e mediti.
Altri passi ci lasciano meravigliati ed attoniti. Dalla sutra n.30 apprendiamo, ad esempio, che «nei mesi delle vacanze estive non c’era la scuola», mentre dalla n.19 veniamo a sapere che «i semi della zucca si possono chiamare anche bruscolini». Ma ben più importante è il contenuto filosofico dell’opera, basato sul concetto zen dell’indicibile mistero. Si noti la raffinatezza del mantra n.32: «A pensarci bene i momenti più graditi sono quelli più lontani, vissuti senza saperlo». Il n.44 ci rivela che «Le cose serie restano insolute», secondo la dottrina dell’antico maestro Ne-nin. Si noterà poi lo squisito senso mistico del passo n.21: «I boschi e le macchie mi parlavano e mi parlano ancora».
Non mancano, naturalmente, dettagliatissimi elenchi relativi alle pratiche di lettura. Notevoli anche gli esercizi di astinenza e meditazione: «Si girava scalzi, si camminava sui sassi e sulle stoppie senza una smorfia di dolore» (sutra n.55); «si dormiva di giorno e di notte, accovacciati sul sacco di fieno, sotto il sole e la pioggia, raggomitolati o seduti» (palinsesto n.40); «gli anni più belli della vita sono gli anni di prigionia» (mantra n.52); «Mi sono imposto di non essere più disponibile per altre illusioni» (pergamena n.118).
L’esercizio più paradossale consisteva nello «starsene in disparte, in silenzio, a bere il litro di vino da soli, limitandosi a compiere gesti rituali». Il passo n.26, comunque, metteva in guardia: «Nelle osterie può accadere di tutto». Che bello, amici di «Frontiera» Una miniera di massime, insegnamenti morali, aforismi! Sentite, ad esempio, che graffiante esortazione: «Affronta la vita com’è, senza tante storie» (pergamena n.27).
Interessante, poi, il riferimento ai Maestri: «Erano gente seria, di poche, semplici parole. Erano uomini duri e autoritari, temprati da tante prove difficili, di voce dura e di pelle dura. Non c’era da discutere, c’era solo da obbedire».
Uno dei maestri, tuttavia, ci appare più bonario: l’amato ispiratore Mo-jan-Leimil, in odore di eresia (sutra n. 94), che era «uno di quelli che amava parlare», audace inventore degli ideogrammi detti dell’astruso-senza-senso. Alla sua illuminata guida si possono ricondurre sia il mantra n.110: «Tutto è possibile, anche l’impossibile», sia l’insegnamento basilare: «da allora tutto è peggiorato», noto come il mantra ciclico che risuona di ventennio in ventennio.
Si-pradon-sanqiu ricorda con affetto il nobile Mo-jan-Leimil. E, a proposito di sentimenti, è davvero indimenticabile il passo in cui l’autore racconta che da ragazzo, seppur timido e frenato da un acuto senso di precarietà, non disdegnava l’occasione di «appartarsi con la ragazza del momento» (mantra n.19). La vetta lirica, però, la tocca col ricordo dei «seni prorompenti» di Sofi-ero-lan (il mito femminile dell’epoca, la leggiadra vestale che lui aveva sfiorato in occasione di una cerimonia dedicata all’uccello-lira).
Da segnalare, infine, l’evidente nostalgia che circola in questa opera, e l’amaro rimpianto che la attraversa. L’autore sa che ha fallito in ciò che più gli stava a cuore: l’unificazione delle due Grandi Scuole Impermanenti (la Get-ton-san detta dell’insaziabile brama e la Ci-chi-cto detta fiuta-il-vento-e-galleggia).
Troppe ripicche ed inganni avevano impedito il raggiungimento dell’armonia universale cui tanto si era dedicato. Nel solco della tradizione Chan giunge alla conclusione che «tutto è illusione». Pur lontani da tale pessimismo, restiamo affascinati da una cultura così antica, e speriamo di farvi avere presto, cari amici, le traduzioni che si vanno approntando.
Di certo la filosofia cristiana, che deriva dalla parola di Cristo e dall’opera del Creatore,non ha nulla da invidiare alla filosofia zen; caso mai è vero il contrario. Ritengo decisamente fuori luogo le sperticate lodi riservate al pensiero zen più adatto a sette (più o meno segrete) che al mondo cattolico.
Di educazione e formazione cattoliche e quindi la tendenza al ricupero comunque dei vari pezzi interpretativi convinto come in ogni parte del tutto c’è una verità anche se nessuna di queste parziali verità si risolve in un tutto sintetizzato. (JELK 88)