Terra Santa: da una scatola di cartone

Terra Santa: Karim e i bambini accolti alla Crèche di Betlemme.

Nascere a Betlemme, nella città Gesù dopo duemila anni e non avere non solo un tetto, ma nemmeno i genitori. È la storia di Karim, nome che significa ‘il generoso’, bambino di soli tre mesi, abbandonato dalla madre in strada, dentro una piccola scatola di cartone. Trovato da un passante, grazie all’intervento della polizia, ora è accudito e amato nella Crèche, l’orfanotrofio, ora anche asilo, istituito dalle Figlie della Carità di San Vincenzo de Paoli nel 1905. Karim ha dei grandi occhi neri. Guarda con attenzione tutto ciò che si muove e sorride a chi si trova accanto a lui. Sorride cercando un contatto con le sue piccole manine che escono dalla tutina celeste. La scatola è solo un ricordo, ora Karim, il generoso, ha una sua culletta, calda, comoda e soprattutto pulita. Di sua madre e suo padre non si sa nulla, Karim è solo. Gesù quando nacque aveva accanto a sé Giuseppe e Maria, Karim no, ma può contare sull’aiuto di suor Elizabeth, responsabile della Crèche e del suo staff, tra cui Rosa, la capo infermiera che lo prende in braccio, per pulirlo, ottenendo in cambio un nuovo grande sorriso. Karim quando portato alla Crèche non aveva un nome, non esisteva, il suo era un destino segnato, oggi ha un nome, un’identità, ma la sua battaglia per la vita non è finita, anzi è appena cominciata.

Bambini come lui, abbandonati, rifiutati, denutriti, a volte percossi, violentati, cacciati dalle loro case, non hanno diritti in questa terra, dove pure il Bambino è nato, non possono essere adottati ma solo dati in tutela a famiglie disponibili, che sono molto poche. Spiega suor Elizabeth: “Sono molto forti le pressioni sociali contro questi nuclei familiari. L’istituto dell’adozione nella cultura islamica non è permesso ed esiste solo questa forma di tutela. Di fatto i bambini restano con noi fino al sesto anno di età. Poi andranno in case famiglia dove restano fino al 18° anno di età”. Da quel momento in poi dovranno sbrogliarsela da soli e nella società palestinese, dove le condizioni sociali ed economiche non sono mai state particolarmente floride, penalizzate gravemente dall’occupazione militare israeliana, questo non è per nulla facile. Karim, intanto, ha davanti a sé anni di spensieratezza, verrà curato, educato, giocherà, socializzerà con altri bambini con famiglia, imparerà a camminare, ad essere autonomo, secondo un progetto educativo portato avanti da anni nella Crèche. Fuori la vita lo aspetta.

Nella stanza di Karim ci sono altri piccoli e piccole come lui, che per un motivo e per un altro, non hanno una mamma, un papà, dei nonni, dei parenti. Le loro madri hanno dovuto disfarsi di loro subito dopo il parto. E in molti casi fuggire. “Tra le cause dell’abbandono – afferma suor Elizabeth – quella principale è che non è possibile per una giovane rimanere incinta al di fuori del matrimonio. Chi vi resta arriva a rischiare la morte. Queste ragazze, che provengono in gran parte da villaggi isolati, qualcuna anche vittima di violenza, sono reputate un’onta dalla famiglia di origine al punto che rischiano essere uccise. Chi riesce a tenere nascosta la gravidanza, una volta aver dato alla luce il bambino e abbandonato, torna a casa dalla famiglia ignara. Altre, invece, la cui gravidanza è nota alle famiglie, rischiano di essere uccise dagli stessi parenti. Vengono, per questo, prese in consegna dalla polizia e dai servizi sociali palestinesi che le portano in un luogo sicuro. Si tratta certamente di un fenomeno limitato ma che purtroppo esiste e che oggi viene alimentato anche dal crescente fenomeno della prostituzione, causata dal peggioramento delle condizioni economiche della zona dovuto al muro di separazione israeliano che impedisce a molti di andare a lavorare in Israele”.

I bambini della Crèche in questi giorni sono in festa. Una volontaria vestita da Babbo Natale li intrattiene nel grande salone dell’istituto. Insieme cantano, giocano, il più grande di loro ha cinque anni ma a guardarlo sembra che ne abbia di più. Fra poco dovrà lasciare la casa che lo ha accolto dalla nascita. Lo aspetta un’altra abitazione, altri fratellini e sorelline, ma non sembra contento. I più piccoli si scatenano quando vedono entrare suor Elizabeth che ha una carezza per tutti. Con il cappellino rosso di Babbo Natale in testa si rincorrono nel grande salone, mangiano dei dolci, scherzano, si fanno dispetti. Qualcuno piange a dirotto. “Sono dei piccoli Gesù – dice sorridendo la religiosa vincenziana – ai quali cerchiamo di dare quel tetto e quell’affetto che ogni bambino del mondo dovrebbe avere. La nostra missione è quella di offrire a queste creature un luogo di vita e di accoglienza in modo tale che possano crescere e svilupparsi il più armoniosamente possibile”. Nella Crèche attualmente ci sono trenta bambini, dei quali una decina con problemi fisici ma che hanno una famiglia che non può mantenerli e che sono stati messi qui dai servizi sociali palestinesi, gli altri venti sono tutti abbandonati. A questi se ne aggiungono altri 68, frequentanti la scuola, che vengono da famiglie povere. Molti di loro vengono lavati, poiché in casa non hanno acqua calda, e vestiti. Le difficoltà a gestire questa struttura non mancano, servono soldi e aiuto: “Abbiamo diverso personale, tutte persone del luogo, ed occasionalmente anche dei volontari ai quali viene richiesto un visto di ingresso che difficilmente Israele rilascia a chi viene dall’estero, per cui si può sfruttare il visto turistico che solo vale tre mesi. Alla scadenza i volontari devo lasciare il Paese e questo per i nostri piccoli è un trauma in quanto si affezionano subito agli operatori. Sentono molto il distacco”. Nonostante tutto alla Crèche vi è la consapevolezza che le vie della pace, in questa terra, passano anche da qui e dagli occhi felici e pieni di vita di bambini come Karim, il generoso.