Chiesa di Rieti

Suor Kristina e il sorriso di un nuovo inizio

Più di due mesi fa, la Asl di Rieti trasformava la casa di riposo Santa Lucia in un centro Covid per poter assistere chi all’interno aveva contratto il virus e impedire il contagio all’esterno. In questi giorni la gestione socio-sanitaria si è conclusa e la struttura è stata riconsegnata alle suore di Santa Filippa Mareri. Suor Kristina racconta un'esperienza dolorosa, ma che si spera carica di cose nuove

Sto bene, mi sono ripresa benissimo, anche se persiste ancora un po’ di affanno e di fatica, ma questo penso che me lo porterò ancora per un po’ di tempo». Suor Kristina Gjonaj è stata la colonna sonora dell’appuntamento serale con il rosario recitato dal vescovo. Nei primi tempi del lockdown, ogni sera usciva dalla Casa Santa Lucia per recarsi in Cattedrale e accompagnare la preghiera con la chitarra.

Fino a quanto la situazione nella casa di riposo si è complicata e insieme alle ospiti e alle consorelle ha conosciuto il contagio del Covid-19. Ora i giorni più difficili sono passati, e la convalescenza lascia spazio per riflettere: «Per me che non sono mai ferma, è come tirare il freno a mano. Anche spiritualmente è una situazione nuova: prendo il tempo giusto per fare le cose e curo molto la qualità della nostra vita religiosa. Questo sembra il tempo più opportuno per stare con il Signore».

Un lento ritorno alla normalità

Intanto la Asl ha annunciato la restituzione alle suore della casa di riposo, trasformata nelle scorse settimane in centro Covid. «Non sarà proprio un ritorno alla normalità – dice suor Kristina – per quella ci vorrà ancora del tempo. Ma il passaggio è importante e dice che si ricomincia. La cosa più bella oggi è vedere gli anziani sorridere perché tornano ad incontrare volti conosciuti. La ripresa, però, non è indolore perché non solo siamo stati fermi, ma anche noi contagiate: ospiti e suore. In compenso si sente la voglia e lo slancio di riprendere con una forza diversa, il desiderio di poter migliorare».

Con l’aiuto della Chiesa

E con la sicurezza di non essere lasciate sole: «La Chiesa ci è sempre stata vicina, il vescovo si è attivato in tanti modi per risolvere i problemi e le situazioni. Ci è stato vicino come un padre, come un fratello, come un amico, come un pastore. Si è preso cura di noi incoraggiandoci quotidianamente nella difficoltà. E poi sono state con noi altre suore: nella fase più difficile della prima e più grave emergenza suor Francesca e suor Merlina, Camilliane in servizio presso l’ospedale provinciale, non hanno badato all’orario e alla fatica pur di aiutarci. Si sono donate totalmente: non solo dal punto di vista materiale, ma anche facendosi vicine spiritualmente ai pazienti». E mentre la Asl riusciva a mettere la situazione sotto controllo sono arrivate suor Cecilia e suor Ornella, francescane ma anche «medici di grande umanità».

L’antivirus della speranza

Un’umanità che suor Kristina riconosce anche al personale laico della Asl, agli infermieri e agli operatori sociosanitari: «con loro c’è stato un rapporto di amicizia e nella quotidianità abbiamo verificato le parole del Papa: è stato come se in questa grande epidemia fosse stato iniettato l’antivirus della speranza e della solidarietà».
Due elementi indispensabili per accettare le perdite: «Ogni morte è stata un grande dolore, aggravato dal non poter accompagnare in quest’ultimo passaggio, di non poter stare vicino nell’ultima agonia, per stringere la mano e semplicemente farsi presenti». Un dramma soprattutto per i familiari, con la distanza che aumentava il desiderio e il peso dell’assenza. «Vivendo il dolore da dentro, nei giorni in cui ancora non stavo male ci ho pensato molto, ho provato ad identificarmi con i parenti, ho posato lo sguardo sui nostri ospiti come avrei fatto con i miei genitori. Il dolore ci ha toccato sia per quanto riguarda i pazienti che per quanto riguarda la nostra comunità. Anche della morte di suor Anastasia mi ha colpito l’isolamento e la solitudine».
Sul lato opposto c’è chi ha superato la malattia, come Zelinda, che a 104 anni ha superato la crisi ed è divenuta un simbolo di speranza. Perché forse ci aiuta a dare un volto diverso questa epidemia, insegnandoci che ce la si può fare nonostante ogni pronostico sfavorevole.

Uno sguardo ai più piccoli

E poi non ci sono solo gli anziani nell’orizzonte di suor Kristina, ma anche i bambini della scuola dell’infanzia in cui insegna: «Tornare sui banchi sarà complicato per tutti gli studenti, e lo sarà ancora di più per la fascia dei più piccoli. Avendo vissuto in prima persona la pandemia, vivo un sentimento di perplessità e di attesa. So che il virus può riuscire incontrollabile, ma evitare il contatto e la vicinanza con i bambini di tre anni è praticamente impossibile. E anche se non si può solo confidare sul fatto che i piccoli sembrano più resistenti al contagio degli adulti, bisogna riconoscere che più di tutti i piccoli hanno bisogno della socializzazione, e di conseguenza bisogna garantirala loro in sicurezza».