Sprecare speranza

Dedicata al rapporto tra la speranza cristiana e lo Spirito Santo, la catechesi di Papa Francesco, pronunciata davanti a 15mila fedeli.

Seminatori di speranza, chiamati a “sprecare la speranza”. Difensori e consolatori soprattutto dei più bisognosi, i poveri, gli scartati. È l’identikit dei cristiani tracciato da Papa Francesco, che ha dedicato l’udienza di ieri al rapporto tra la speranza cristiana e lo Spirito Santo, nell’imminenza della festa di Pentecoste, che è il compleanno della Chiesa, come ha spiegato a braccio ai 15mila fedeli presenti in piazza San Pietro. Alla fine, l’invito a rispettare l’ambiente, racchiuso tutto in una frase: “Non si può imbrattare un quadro senza offendere l’artista che lo ha creato”.

La lettera agli Ebrei paragona la speranza a un’àncora, ma a questa immagine possiamo aggiungere quella della vela:

“Se l’àncora è ciò che dà alla barca la sicurezza e la tiene ancorata tra l’ondeggiare del mare, la vela è invece ciò che la fa camminare e avanzare sulle acque”. La speranza è davvero come una vela, che “raccoglie il vento dello Spirito e lo trasforma in forza motrice che spinge la barca, a seconda dei casi, al largo o a riva”.

Essere lieti nella speranza è la gioia di sperare, e non sperare di avere gioia, spiega Francesco a braccio commentando la Lettera ai Romani, a cui attinge a piene mani durante la catechesi. L’espressione “Dio della speranza” non vuol dire soltanto che Dio è l’oggetto della nostra speranza, cioè colui che speriamo di raggiungere un giorno nella vita eterna.

“Finché c’è vita, c’è speranza”, suona un detto popolare, ma per il Papa è vero anche il contrario: “Finché c’è speranza, c’è vita”, già qui e ora.
Gli uomini hanno bisogno di speranza per vivere e hanno bisogno dello Spirito Santo per sperare: la speranza non delude, perché c’è lo Spirito Santo dentro che ci spinge ad andare avanti, sempre avanti, dice ancora a braccio.

Abbondare nella speranza significa non scoraggiarsi mai: significa sperare contro ogni speranza, cioè sperare anche quando viene meno ogni motivo umano di sperare. Come è stato per Abramo quando Dio gli chiese di sacrificargli l’unico figlio, Isacco, e come è stato, ancora di più, per Maria sotto la croce di Gesù.

Cristiani come seminatori di speranza, e non di amarezze, perplessità, dell’“aceto di amarezza e di “disesperanza”. È l’immagine finale consegnata dal Papa ai fedeli. Come fa lo Spirito Santo con noi, anche noi dobbiamo essere seminatori di speranza, “paracliti”, cioè consolatori e difensori dei fratelli. Seminatori di speranza, prosegue a braccio:

“Un cristiano può seminare amarezze, può seminare perplessità, e questo non è cristiano, e chi fa questo non è un buon cristiano”. “Semina speranza: semina olio di speranza, semina profumo di speranza e non aceto di amarezza e di ‘dis-speranza’”, l’invito ancora fuori testo.

Poi la citazione del beato cardinale Newman: cristiani come avvocati, assistenti, apportatori di conforto. Difensori e consolatori, soprattutto verso i poveri, i non amati, i più bisognosi, gli scartati.

Lo Spirito Santo alimenta la speranza non solo nel cuore degli uomini, ma anche nell’intero creato, spiega Francesco citando san Paolo: anche la creazione attende la liberazione e geme e soffre come le doglie di un parto. “L’energia capace di muovere il mondo non è una forza anonima e cieca, ma è l’azione dello Spirito di Dio che aleggiava sulle acque all’inizio della creazione”, la citazione di Benedetto XVI:

“Anche questo ci spinge a rispettare il creato: non si può imbrattare un quadro senza offendere l’artista che lo ha creato”.
Infine il riferimento alla prossima festa di Pentecoste, che è il compleanno della Chiesa, e l’augurio: “Il dono dello Spirito Santo ci faccia abbondare nella speranza”. “Dirò di più”, aggiunge Francesco ancora fuori testo: “Ci faccia sprecare la speranza con tutti quelli che sono i più bisognosi, i più scartati e per tutti quelli che hanno necessità”.