L’urne de’ forti

I referendum sono promossi e contestati, esaltati e ridicolizzati, discussi ma tenuti al margine del dibattito, costosi ma svuotati di senso. Il principale strumento di democrazia diretta è tirato da tutte le parti perché è ancora un fattore decisivo.

Quella che si presenta il 12 giugno è una grande opportunità. Sarà il momento per capire quale è il pensiero degli italiani sulle cose che contano davvero, che hanno a che fare con la vita di tutti, senza che sia frapposta la mediazione dei media e della politica.

Quale che sia il risultato, che vincano i Sì, i No o l’astensione, sarà chiaro lo spaccato culturale del Paese. Capiremo se vogliamo o meno camminare verso un futuro in cui non tutto è commerciabile e in cui la consapevolezza ambientale si compone su comportamenti reali. Sapremo se concepiamo la legge come ciò che ci lega gli uni agli altri, allo stesso modo, con gli stessi nodi, in una rete che fa il paese coeso. Vedremo se siamo o meno capaci di contrastare le posizioni dominanti, i privilegi, l’appropriazione delle cose di tutti. Misureremo cosa conta di più tra gli affari e le persone, tra la felicità e l’illusione del progresso, tra la ragionevolezza e la pubblicità.

Il voto e il non voto metteranno in chiaro il modello mentale di riferimento. La nostra è un’epoca di grande complessità. Non è possibile promuovere un referendum su ogni singola questione in campo, ma i quesiti di questa tornata sono paradigmatici. Le risposte daranno un riferimento, tracceranno le linee guida, indicheranno la direzione generale verso cui il popolo italiano ha in animo di muoversi.

Quelli passati sono stati anni di cementificazioni, di sfruttamenti del territorio, di economia costruita ignorando i costi ambientali e sociali nel conteggio dei bilanci. Abbiamo conosciuto una progressiva sottrazione di diritti e di beni comuni, una politica sempre più insofferente al giudizio, poteri economici centralizzati e sordi alle istanze dei più.

Dopo il voto sapremo se gli italiani sono ancora disposti ad accettare, a tacere, ad accontentarsi, a vivacchiare. Oppure sono finalmente pronti ad aprire il Paese ad una fase nuova, dove le persone sono al centro, dove i diritti non si vendono, dove l’equità è il principio regolatore.

Con i referendum la società si può spostare in direzioni nuove, dare peso a indicazioni inedite, dare propulsione ad una svolta per tracciare il disegno di un mutamento.

Il silenzio attorno ai quesiti, l’invito a non votare, il sentimento di indifferenza e confusione che si inserisce nei discorsi referendari, sono interessati a che nulla cambi. Ma se davvero i referendum fossero inutili questa strategia non si sarebbe presentata, non avrebbe ragion d’essere.

I referendum le cose le cambiano, ma il voto deve farsi riconoscere in modo netto, non ci deve essere spazio per letture equivoche.

Se l’istituto referendario pare svuotato dall’interno, pare privo di forza, è solo perché i risultati degli ultimi anni sono stati ambigui, perché hanno concesso troppo spazio di manovra a chi si muove nei Palazzi, perché per troppo tempo ci siamo persuasi che il nostro destino non ci riguarda.

Dare forza ai referendum farà capire che i cittadini non sono disinteressati alla politica, alla cosa pubblica, al bene comune; che l’astensionismo non certifica la disaffezione dei cittadini, ma la lontananza dei partiti dalla realtà; che l’elaborazione politica di professione è marginale e compromessa, mentre lo sforzo di ripensare la società avviene sempre più altrove: nei movimenti di cittadini, nell’attività associativa, nei comitati civici e anche nella Chiesa.

L’esito dei referendum mostra con esattezza qual è il potere dominante nella società. Al tempo del quesito sull’aborto ad esempio, Pasolini spiegò bene come il nodo profondo della questione fosse determinato dalla necessità del potere consumistico di conquistare ogni aspetto della vita.

La profonda contraddizione che si sente oggi tra le spinte del mercato e i bisogni reali delle persone porta qualche aspetto di quella tensione. Ma la contesa è più esplicita di allora e i temi, anche se sono gravi, sono molto meno scivolosi dal punto di vista morale. Il 12 giugno a votare Sì nessuno ci rimette, anzi ci guadagnano tutti. Dopo anni di deriva, di ubriacature liberiste, di eccessi di malafede, una eventuale affermazione referendaria potrebbe rappresentare un passo verso la ricostruzione di un argine a quell’interesse privato che, straripando ben oltre la propria sede, ha impedito di coltivare il campo del bene comune.