C’è un convitato di pietra al summit europeo di Sofia e si chiama Donald Trump. Il presidente degli Stati Uniti – figura tradizionalmente amica e alleata del vecchio continente – in questo caso sembra essere “il primo dei problemi” dell’Ue. Lo si è capito ieri all’arrivo dei 28 leader nella capitale bulgara convenuti per il vertice sui Balcani; ne si è avuta conferma durante la cena di lavoro in serata e all’avvio del summit, questa mattina, al Palazzo della cultura, tirato a nuovo per volontà del premier locale, Bojko Borissov. Donald Tusk, presidente del Consiglio europeo, che ha convocato e guida l’incontro di oggi, non ha usato mezze misure parlando di Trump: “guardando le sue ultime decisioni qualcuno addirittura potrebbe pensare: con amici come questi a che servono i nemici?”.
I “capricci” di Washington. Sono almeno tre i temi che allontanano le due sponde dell’Atlantico: l’accordo sul nucleare iraniano, che l’Ue difende e che Trump ha rigettato; i dazi che gli Usa intendono imporre per proteggere la loro economia a scapito dei partner commerciali, Europa compresa; lo spostamento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, in seguito alla quale si sono avute dimostrazioni di piazza e oltre 60 morti in Terra Santa. Tusk ha parlato di “capricciosa assertività dell’amministrazione americana” riferendosi a tutta la filiera di politica estera ed economica degli Stati Uniti. E così la due-giorni di Sofia, che avrebbe dovuto avere al centro dell’interesse la “connettività” con e tra i Paesi balcanici, ha spostato il tiro della prima giornata proprio sugli Usa. Ma ci sono altri argomenti sul tavolo che impensieriscono, e in parte dividono, l’Unione europea: la questione del bilancio comunitario, il Brexit (i negoziati sono in stallo), la gestione dei flussi migratori e la riforma di Dublino, le minacciose pressioni esterne della Russia di Putin, i rapporti tesi ma a quanto pare necessari con la Turchia di Erdogan. Senza trascurare taluni “dossier” riguardanti gli Stati Ue: l’attesa per il nuovo governo italiano e qualche preoccupazione trapelata circa il rispetto dei trattati e delle regole dell’euro; l’indipendenza catalana; lo scalpitare dei Paesi di Visegrad e dell’Austria.
Mettere in connessione. Eppure il vertice che si svolge oggi in una Sofia incipriata e blindata (c’è un poliziotto ogni cento metri, a partire dall’aeroporto fino in città e a ogni angolo di strada) è, ha ricordato lo stesso Tusk, “un’opportunità per ambedue le parti di riaffermare che la prospettiva europea rimane una scelta geostrategica per i Balcani”. Ai leader dei 28 si sono aggiunti quelli di Serbia, Albania, Macedonia (Fyrom), Montenegro, Bosnia-Erzegovina e Kosovo. Lo stesso Tusk ha specificato che “al di là delle prospettive a lungo termine, vogliamo dimostrate qui e ora che ci impegniamo per lo sviluppo sociale ed economico della regione”; “investire in connessioni infrastrutturali e umane con e all’interno dei Balcani occidentali è nel miglior interesse europeo e questo sarà il tema del nostro summit”.
Reciproche diffidenze. Non mancano veti e diffidenze reciproche anche nei confronti e all’interno della regione balcanica. Data la presenza del Kosovo, che Madrid non riconosce per evitare ricadute sulla diatriba catalana, il premier spagnolo Mariano Rajoy è comparso ieri a Sofia, ma oggi non è iscritto al summit. La Spagna è peraltro presente a livello di figure diplomatiche e, ha fatto sapere Rajoy, sottoscriverà la Dichiarazione finale del vertice. Poi c’è la partita aperta del nome tra Grecia e Macedonia (Former Yugoslav Republic of Macedonia), anche se pare ci sia l’intenzione di risolvere l’annosa faccenda prima del Consiglio europeo del 28 e 29 giugno quando i Ventotto dovranno dare il semaforo verde ai negoziati con la Macedonia e l’Albania. Oggi, a margine del summit, è previsto un faccia a faccia tra il premier greco Alexis Tsipras e l’omologo macedone Zoran Zaev.
Capitoli aperti. Non si possono del resto trascurare tutti gli altri spinosi capitoli aperti: le tensioni tra Serbia e Kosovo, la situazione interna della Bosnia-Erzegovina, la non appianata convivenza tra Macedonia e Albania, le “prudenze” tra i Balcani occidentali e i due Stati balcanici che già fanno parte dell’Ue, ossia Croazia e Slovenia. Non ultimo, a far discutere sono le influenze di Mosca sulla Serbia e il “pesante” vicino di casa turco… Il vertice di oggi è certamente importante, sia per l’Ue che per i Balcani; si attende di leggere l’ultima versione della Dichiarazione finale pur sapendo che non costituirà un punto di arrivo ma semmai una nuova ripartenza per avvicinare la regione al resto dell’Unione europea, nella prospettiva della pace interna e dello sviluppo socioeconomico.