Quando si viaggia c’è sempre da imparare. Guardando intorno si percepiscono cose, si notano presenze. Così la sala d’aspetto dell’aeroporto si trasforma in un luogo di studio e la cabina dell’aereo in un salotto in cui, sorseggiando un caffè americano per due ore, si possono fare osservazioni più o meno accorte.
La gente in viaggio di solito è più distesa, meno formale nel vestire: non cerca di apparire, è quel che è. Ma c’è anche chi sembra andare a vedere Montserrat Caballé alla Scala: elegante, truccato, impeccabile. Come se il viaggio gli creasse un momento speciale, come se non fosse più una pausa, ma un salto o una fuga.
Non si può sapere chi si incontra o cosa avviene. A volte il viaggio può essere l’ultimo. È capitato alle persone decollate insieme a noi,le cui anime sono cadute verso il cielo in Ucraina come fossero una pioggia sanguinosa. Per fortuna la maggior parte delle volte si atterra sani e salvi.
Spesso le vie delle persone si incrociano una volta sola. E allora c’è da fare una conoscenza impossibile: cogliere al volo lo sguardo, quell’apparenza che maschera la dignità figliale e fraterna. C’è da contemplare in un attimo la vita delle persone, focalizzata in quel punto segnato dallo spazio e dal tempo che preannuncia l’eternità in comune.
Chissà se avremo modo di ritrovarci ancora. Forse sarà di fronte a quella porta di casa paterna la cui Chiave è stata inchiodata.
Vedere e imparare: da una mamma con due piccoli bimbi; da due fidanzati, fiduciosi e spensierati; dal giovane senza gambe, ma felice di viaggiare; dalla hostess a vita con le rughe al posto del sorriso.
La presenza e i gesti ci insegnano e ci trasmettono la storia della vita, ci scolpiscono con la speranza. Perché la vita è un viaggio. E tra un pasticcino e l’altro ci si scopre grati che il mondo sia più grande del cortile del quotidiano.
Se il cuore fosse sveglio e la mente calda, quanto più facilmente si amerebbe Colui che viaggia sempre insieme a noi, tirandolo fuori dall’ombra dell’indifferenza.