«Noi non distruggiamo le piazze. Facciamo solo ciò che ci piace fare: come chi gioca a pallone, come chi va in bici, come chi gioca a tennis. Ma lo skate è una cosa diversa: si può fare anche per strada. Anzi, è nata proprio così. Fanno così dovunque». A parlare è lo skater reatino Nicholas Meneghino, che abbiamo incontrato a margine delle polemiche scoppiate in questi giorni sull’uso che gli amanti della tavola a rotelle fanno di piazza Mazzini.
Lo skateboard esprime una cultura della strada, un modo di essere?
Sì, lo skate non è uno sport, è uno stile di vita. A Rieti ci troviamo parecchio in difficoltà. Ma il problema non è la città, è la mentalità dei cittadini. La polemica che si è sviluppata su Facebook non è la prima: ci troviamo a dover dire sempre le stesse cose, le stesse ragioni, a spiegare perché lo facciamo, perché andiamo dove andiamo, le difficoltà che abbiamo nello skate park di via Liberato…
Cioè?
Basta guardare: è completamente invaso da bambini sui pattini o con le biciclette . Non possiamo dire la nostra neanche qui! Se proviamo a parlare con i genitori veniamo aggrediti. È successo più di una volta…
Quindi perché andate in piazza Mazzini?
Perché a livello strutturale piazza Mazzini è perfetta per fare skate. Ma questo chi non fa skate non lo capisce. Comunque ritrovarsi in una piazza è da sempre una prerogativa degli skaters: semplicemente andiamo lì, passiamo la giornata. La piazza è lo “spot” principale (lo “spot” è il luogo in cui si fa skate). Cerchiamo di essere anche rispettosi: di non sporcare, di stare attenti alle persone…
Però la convivenza tra persone e skateboard non sembra felicissima…
Qui a Rieti non è per niente felice: non siamo capiti, non saprei come spiagarmi…
… sì, ma intendevo in senso pratico: correre e saltare sui muretti della piazza mentre la gente passeggia non è proprio l’ideale. Qualche conflitto c’è.
È vero. Da parte nostra cerchiamo di essere sempre molto attenti. Cerchiamo di non disturbare, e se qualcuno è infastidito di solito che ne andiamo. In piazza Mazzini in particolare non è mai venuto nessuno a litigare. Solo qualche piccolo episodio occasionale. Con le persone che sono contro di noi non abbiamo mai potuto parlare faccia a faccia. Abbiamo incontrato solo gli assessori…
Quindi le istituzioni vi prestano ascolto?
Sì, ascoltano, ma a singhiozzo. Ascoltano quando c’è la polemica: cercano di fare qualcosa, magari vorrebbero trovare una soluzione, ma poi soluzioni non se ne trovano mai.
Mancano sempre i soldi!
Eh sì. Ma non è sempre una questione di fondi. Si potrebbe anche pensare a soluzioni alternative, come la gestione diretta dello skate park. Potremmo averlo in affido come associazione.
Quanti soci siete?
Siamo pochi. Abbiamo provato in passato a far associare anche i genitori, ma con scarso successo. Forse non siamo bravi noi a farci conoscere. Rimaniamo sconosciuti.
È che Rieti è una città diffidente. Quello che è nuovo o diverso incontra resistenza…
Va bene, ma lo skateboard non ha niente di nuovo. Esisteva anche vent’anni fa…
Sì, ma era un qualcosa di occasionale. È nuovo il fatto che in qualche modo siete un movimento strutturato.
Ma molte città hanno una “scena skateboard”. E a quanto pare sta nascendo anche qua. Siamo ancora pochi, e magari anche poco bravi, però potremmo crescere.
In alcune città è quasi un vanto. Cercando informazioni sull’argomento ho trovato una galleria fotografica del «Corriere della Sera» che esaltava le evoluzioni degli skaters in una piazza appena costruita a Milano.
Lì il discorso è particolare. Milano è un po’ la capitale in Italia della cultura skate, succede tutto lì. Ad esempio da Milano viene la gran parte del materiale editoriale e di informazione sullo skate. Il che non vuol dire che manchino realtà più simili a noi. Ad esempio San Benedetto del Tronto: è una città piccola come la nostra. Ma lì hanno superato la diffidenza: gli skaters sono riusciti ad ottenere una struttura adeguata. Mi pare che verrà inaugurata i primi di maggio. Hanno vissuto tutte le difficoltà che stiamo vivendo noi: forse lì c’è qualcuno più incisivo, ma è stata una battaglia di dodici anni. E prima dello skate park hanno ottenuto l’uso di una piazza, una piazza che sta davanti una chiesa.
Lo skate è anche un modo di abitare la città? Andare con lo skateboard sul marciapiede o nelle piazze, è anche un modo di vivere Rieti?
Beh, lo skake è anche un mezzo di trasporto. Oggi si parla tanto di trasporto ecologico: noi non inquiniamo di sicuro! C’è chi va con la bici, noi andiamo con lo skate. Anzi andiamo anche con il longboard: una sorta di skate maggiorato, molto più adatto per andare in giro. Ha anche le ruote più grandi e praticamente non fa rumore.
Magari circolando danni non ne fate, ma quando saltate sui cordoli e i marmi delle piazze non dite che non succede niente!
L’usura che provochiamo non è diversa da quella di altri usi degli stessi spazi, come l’allestimento delle fiere. È quello che accade quando uno spazio viene vissuto. In alcuni luoghi questo viene riconosciuto. A Torino c’è piazza Aldo Fusi: è una normale piazza di marmo come piazza Mazzini, non ha niente di particolare, se non degli orari che rendono chiara la situazione anche per i passanti.
Quindi cosa chiedete?
Di poter sfruttare lo spazio che c’è. Di poter utilizzare al meglio le strutture che già ci sono. Se ci fosse garantito l’uso appropriato dello skate park esistente sarebbe già tanto. Potrebbe aiutare un regolamento comunale. E di sicuro una maggiore apertura. Dopo tutto nei giorni della “città dei bambini” il divieto in piazza Mazzini non vale. Perché non può essere lo stesso il resto dell’anno? Si possono anche pensare piccoli interventi, poco costosi, che ci permetterebbero l’uso – in orari in cui non diamo fastidio – senza correre il rischio di rovinare nulla. Ad esempio angoli in metallo negli spigoli dei dislivelli in marmo.
Si direbbe che rivendichiate il diritto di essere ciò che siete nella vostra città. In qualche modo è anche un segno di attaccamento a Rieti…
Sì, se non fosse così ce ne saremmo già andati. Ma sarebbe bello che quando nasce una realtà come la nostra fosse aiutata invece che ostacolata. In fondo basterebbe dialogare, provare a capirsi, e tutto si risolverebbe.