La sfida della Chiesa: diventare madre in una società di orfani

”Essere nella Chiesa è essere a casa con mamma, a casa di mamma”, ha detto Papa Francesco aprendo il convegno della diocesi di Roma: ”L’individualismo, la fuga dalla vita comunitaria fa invecchiare la Chiesa”. Quindi un richiamo alla società che ”a quasi il 40% dei giovani italiani non da’ lavoro, e questo significa dire ‘tu non mi importi, tu sei materiale di scarto’. 75 milioni di giovani in Europa dai 25 anni in giù non hanno lavoro. Questa cultura li lascia orfani!”.

Essere “madre” in una “società di orfani”, in cui “capita di sentirci addosso un peso che ci schiaccia e ci fa domandare: questa è vita?”. È il mandato affidato alla diocesi di Roma da Papa Francesco, che ha aperto ieri sera in Aula Paolo VI, alla presenza di circa 11mila persone, il convegno annuale della sua diocesi sul tema: “Un popolo che genera i suoi figli. Comunità e famiglia nelle grandi tappe dell’iniziazione cristiana”. All’inizio del suo discorso, durato quasi un’ora e salutato da calorosi applausi, Francesco ha definito l’Evangelii nuntiandi il “documento più importante” in fatto di catechesi: scritto dal “grande Paolo VI, non è stato superato”. “Abbiamo bisogno di gratuità, nelle famiglie, nelle parrocchie, nella società”, ha detto il Papa, in un mondo di “uomini e donne disorientati”, di giornate dal volto “disumano”, di esistenze “troppo accelerate” dove a volte la vita è “una croce difficile” e i genitori sono stanchi e non trovano più il tempo per giocare con i loro figli. “Tutte le parrocchie devono diventare comunità di accoglienza”, l’invito. Il sogno di Francesco è “una Chiesa che abbia cuore”, ma anche “la dolcezza dello sguardo di Gesù, spesso più eloquente di tante parole”.

“Questa è una società di orfani”. Una delle malattie più tipiche del nostro tempo è “l’orfananza”, come l’ha definita il Papa. I giovani di oggi, ha spiegato, “sono orfani di una strada sicura da percorrere, di un maestro di cui fidarsi, di ideali che riscaldano il cuore, di speranze che sostengano la fatica della vita quotidiana”. “Generare alla fede vuoi dire annunziare che non siamo orfani”, ha spiegato il Papa, secondo il quale “anche la società rinnega i suoi figli: a quasi il 40% dei giovani italiani non da’ lavoro, e questo significa dire ‘tu non mi importi, tu sei materiale di scarto’. 75 milioni di giovani in Europa – ha denunciato Francesco – dai 25 anni in giù non hanno lavoro. Questa cultura li lascia orfani!”.

La Chiesa è “madre”. “Noi siamo un popolo che vuole far crescere i nostri figli con la certezza di avere una famiglia, di avere un padre e una madre”, ha esclamato il Papa. “Se noi come Chiesa non sappiamo generare figli, qualcosa non funziona”. Per la Chiesa “la sfida grande è diventare madre, non una ong ben organizzata, con tanti piani pastorali”, che “servono, sono essenziali, ma se la Chiesa non è madre, diventa una zitella”, perché “la sua identità è fare figli, cioè evangelizzare”. Sara, Elisabetta, Noemi: sono le donne della Bibbia “senza discendenza, invecchiate senza fare figli”. Eppure, “queste donne sterili hanno avuto figli: il Signore è capace di farlo, ma per questo la Chiesa deve convertirsi per diventare madre”. È la “fecondità”, allora, la “grazia da chiedere allo Spirito Santo perché possiamo andare avanti nella nostra conversione missionaria”. “Non si tratta di cercare proseliti”, ha puntualizzato il Papa, di trovare “un socio di più”, perché “la Chiesa, come ci ha detto Benedetto XVI, non cresce per proselitismo ma per attrazione materna”, grazie alla “maternalità”.

“Ma è un po’ invecchiata la nostra Chiesa”, ha detto Francesco alla sua diocesi, con una battuta scherzosa: “non dobbiamo parlare della ‘nonna’ Chiesa, ma è un po’ così”. “Dobbiamo ringiovanirla”, la consegna, “ma non portandola dal medico che fa la cosmetica”. “La Chiesa diventa più giovane quando è capace di fare più figli”, ha assicurato il Papa: “Essere nella Chiesa è essere a casa con mamma, a casa di mamma”. “L’individualismo, la fuga dalla vita comunitaria fa invecchiare la Chiesa”, perché in questo modo “è un’istituzione che non è più madre: ci dà una certa identità, ‘sono tifoso della cattolica’ – ha scherzato usando una metafora calcistica – e questo avviene quando c’è una fuga dalla vita comunitaria”. “Dobbiamo recuperare la memoria della Chiesa come popolo di Dio”, la proposta del Papa, che ha ammonito: “Ci manca il senso della storia, abbiamo paura del tempo”, perché la nostra è la società del “tutto adesso”, “siamo nel regno del presente, della congiuntura”. “Solo spazio, niente tempo”, ha proseguito facendo l’esempio della comunicazione: “Telefonini, messaggi sempre più ridotti. Siamo schiavi della congiuntura”, e invece dovremmo “recuperare la memoria della pazienza di Dio, che non ha avuto fretta, che ha preferito la storia, camminando con noi”.

Non chiudere le porte. “Accoglienza, tenerezza, compassione”, cioè capacità di “patire con, sentire i sentimenti degli altri”, e per il futuro “speranza e pazienza”. Queste altre parole-chiave utilizzate dal Papa: “Una madre è tenera, sa accarezzare: quando una persona non va spesso in parrocchia e trova una segretaria che sgrida, che chiude la porta, questa gente non si sente a casa di mamma”. Anche “un parroco che è troppo impaziente non fa bene”. Poi ancora una digressione su quando era vescovo a Buenos Aires: “Una volta ho voluto sentire una signora, molto umile, che aveva lasciato la Chiesa da giovane, e poi era diventata mamma ed era tornata. ‘Ho lasciato la Chiesa – diceva – perché in parrocchia è venuta una donna con un bambino e ha chiesto al parroco di fare il battesimo, e il parroco ha detto di sì ma che doveva pagare. ‘Ma non ho soldi’, ha detto la donna, e il parroco: ‘Vai a casa tua, prendi quello che hai e ti battezzo il figlio’”. “Queste cose succedono”, il commento del Papa, “e questo è chiudere le porte”.