Chiesa di Rieti

«Se vuoi la pace, lavora sul sogno e fai di tutto per realizzarlo»

Il Giugno Antoniano rinnova la Processione dei Ceri con un percorso inedito ma un cuore intatto. Tra ali di folla e devozione, le parole del vescovo Vito richiamano a una pace concreta e responsabile, che comincia dal rispetto e arriva a farsi sussulto collettivo di umanità

C’è un istante, quando il pomeriggio guarda alla sera e il caldo di giugno accenna una flessione, in cui la città sembra trattenere il fiato. È il momento in cui la statua di sant’Antonio si affaccia su piazza Mazzini, seguita dai portatori e da quel popolo che ogni anno rinnova una devozione antica, mai logora. Ognuno porta con sé un segreto, una richiesta, un grazie, come raccontano gli occhi e i passi di chi accompagna la macchina processionale lungo le strade. Quest’anno il percorso è stato diverso, forzato dai lavori nel centro storico, ma nulla ha intaccato la forza del gesto: il Giugno Antoniano sa essere «elastico», «liquido», capace di cambiare forma senza perdere anima.

La folla, viva e paziente, ha seguito e partecipato la processione come sempre. E alla fine le variazioni sono sembrate un giusto diversivo. Come nella sosta sotto la statua di san Francesco in piazza Vittori, giunta molto prima del solito, dove il vescovo Vito ha benedetto la città con la reliquia del Santo, prima che il cammino riprendesse. Il giro della piazza, il Borgo, San Francesco, via Garibaldi, via Nuova: il serpentone di persone e fiammelle ha infine fatto ritorno alla basilica di Sant’Agostino. E qui, davanti a una piazza gremita e colma di luci, la voce del vescovo ha raccolto tutti in un’unica parola di pace.

«Consentitemi di dire che è un piccolo miracolo questo non dimenticare», ha esordito, indicando la memoria come «vita che impara da ciò che è stato». Antonio, ha ricordato, non è soltanto un francescano, ma «un buon cristiano, dunque un buon uomo», capace di vivere la pace come cura, come sogno che diventa realtà. Ed è proprio su questo sogno che il vescovo ha invitato la piazza a riflettere: «Che la pace sia con noi», un’utopia forse infantile agli occhi dei cinici, ma profondamente evangelica, nuda e cruda come il Vangelo stesso.

Non è un sogno sterile, ha insistito: è la speranza di non doversi guardare le spalle, di liberarsi da un mondo che sembra ogni giorno più orientato alla distruzione. «Curare o distruggere?», ha domandato a tutti, ricordando che ogni incontro è una scelta. La memoria di sant’Antonio, dunque, serve per farci rispondere con coraggio, abbandonando l’illusione di non essere tutti uno. «Il più piccolo dei fratelli, la più piccola delle sorelle, di qualsiasi nazione, colore o religione, è nostra cura e parte di noi».

Il vescovo ha spinto la sua parola fino a porre la domanda radicale: «E se l’ultimo giorno fosse oggi?». Ha chiesto rispetto, non solo come cortesia, ma come riconoscimento dello spazio sacro dell’altro, come capacità di deporre l’ascia, seminare, costruire. «Sant’Antonio ci chiede di scegliere di curare e non di distruggere, sebbene la seconda decisione possa farci sentire più potenti e più forti».

Poi, quasi a stringere la comunità in un abbraccio più vasto, ha invocato la pace vera, quella che comincia da vicino: nelle famiglie, nei luoghi di lavoro, nei quartieri, fino a diventare indignazione collettiva contro ogni violenza, specie quella bellica. Un pensiero tornato con forza sulle parole di papa Leone, che denuncia la «vana illusione» del riarmo e le «false propagande» che alimentano odio, mentre «si distruggono ospedali e scuole» al posto di costruirli.

Questa, ha concluso, non è una pace astratta, ma la sola capace di fermare la «follia distruttiva che sembra essersi impossessata della nostra comune umanità». È una pace che si fa «sussulto di umanità collettiva», senza la quale non può esserci vera festa. Per questo ha chiamato a fare della Valle Santa un’«Officina di Pace» dalla quale si alzi «una indignazione collettiva per ogni violenza, specie per quella che prende la forma assurda della guerra».

E mentre la statua del Santo tornava alla sua dimora tra gli applausi, la piazza pareva trattenere quell’eco: «Se vuoi la pace, lavora sul sogno e fai di tutto per realizzarlo, già ora, già qui».

È il messaggio da portare nel cuore: una processione che attraversa strade antiche e racconta un sogno di pace che può ancora camminare sulle spalle di chi crede che il Vangelo sia la sola rivoluzione possibile.