Quella scuola cattolica aprì la strada al reverendo King

A Mobile, Alabama, la “Most Pure Heart of Mary High School” offriva da decenni un’istruzione di qualità alla popolazione di colore, anticipando il “sogno” di Martin Luther King. Ma mezzo secolo dopo lo storico discorso al Lincoln Memorial di Washington, negli Stati Uniti restano pesanti differenze sociali tra bianchi e neri.

Quattro mesi prima che il reverendo Martin Luther King pronunciasse il leggendario discorso “I Have a Dream”, di cui ricorre oggi il cinquantesimo anniversario, un gruppo di liceali della scuola cattolica “Most Pure Heart of Mary High School” di Mobile, in Alabama, era in posa per la tradizionale foto di classe. Vestiti di tutto punto, i giovani sorridevano e avevano l’aria di guardare al futuro con un moderato ottimismo. Come imponevano le leggi del tempo, la “Heart of Mary” era una scuola per soli neri, ma era una delle poche nel Sud degli Stati Uniti a offrire un’istruzione di qualità a ragazzi e ragazze della comunità afroamericana. Pur tra grandi difficoltà e pregiudizi, molti di quegli studenti hanno però avuto una vita ricca di soddisfazioni, anche professionali, al punto che il reverendo King avrebbe fatto forse fatica a immaginare.

Un faro nel sud segregazionista.

La storia di questo istituto (tuttora attivo), piccolo faro in un Sud degli anni ‘40, ‘50, e ‘60 in cui non solo le scuole ma anche gli hotel, i parchi, le cabine telefoniche e i bagni pubblici erano separati per bianchi e neri, è raccontata in un recente libro dello scrittore cattolico Robert McClory dal titolo: “From the Back of the Pews to the Head of the Class”, ovvero quelli che stavano negli ultimi banchi sono diventati i primi della classe. “Nonostante fossimo considerati gli ultimi, gente quasi invisibile”, ricorda oggi Alexis Herman, segretario del Lavoro nella seconda amministrazione Clinton, “grazie all’impegno delle suore e degli insegnanti molti studenti sono poi riusciti a raggiungere obiettivi in partenza impensabili. Sono diventati medici, educatori, uomini d’affari, politici”.

Tenacia da vendere.

Il libro, un collage di testimonianze di ex allievi, fornisce un’istantanea dell’America che Martin Luther King voleva cambiare. Dora Finley, per esempio, racconta il terrore di quando a otto anni si sentì urlare “negra” per la prima volta. Norvel Lewis rammenta, invece, gli espedienti che doveva escogitare per poter vivere una parvenza di normalità: per farsi servire un hamburger nel bar di un paese vicino doveva spacciarsi per studente straniero in visita in Alabama. William Kelly ricorda invece di come un giorno, da bambino, era in autobus seduto sulle ginocchia della sua insegnante bianca, e quando il controllore le chiese di sistemarlo sui sedili in fondo perché era nero, lei si rifiutò. E fu uno scandalo.

Doctor King oggi.

Di persone così, di vite dimezzate da leggi razziste come queste parlava il reverendo King ai 250mila americani che si radunarono al Lincoln Memorial di Washington esattamente cinquant’anni fa, il 28 agosto 1963, per la “marcia per il lavoro e la libertà”. E per loro chiedeva eguaglianza e giustizia. Mezzo secolo dopo l’America ha per certi versi fatto più passi avanti di quanti avrebbe potuto sperare. Per altri versi, però, il suo sogno resta ancora molto lontano. È vero, cioè, che ora il presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, è nero; è altrettanto vero che le barriere della segregazione si sono sgretolate e l’istruzione media di tutti gli americani è migliorata. Ma lo scarto economico tra bianchi e neri è rimasto praticamente lo stesso del 1963. Il tasso di povertà degli afroamericani è migliorato tra il 1959 e il 1972 passando dal 55 al 32%. Eppure da quel momento in poi i miglioramenti sono stati di scarsa entità. Nel 2011 le famiglie afroamericane sotto la soglia della povertà erano il 27%, circa il triplo delle famiglie bianche, stando ai dati del Census Bureau, l’Istat americano. “In sostanza dalla marcia a oggi per i neri americani non è cambiato praticamente nulla”, spiega al Sir William Darity, professore di Politiche pubbliche, economia e studi afroamericani alla Duke University. “Certo, la povertà è diminuita per tutti, ma il divario tra neri e bianchi è restato pressoché immutato nell’ultimo mezzo secolo”.

I numeri parlano chiaro.

Questo non è certo il tipo di società cui aspirava King. E il reverendo troverebbe forse poco confortanti anche i dati sul crimine e la disoccupazione. A fronte di una popolazione nera che rappresenta il 14% del totale, gli afroamericani costituiscono il 37% della popolazione carceraria, e la percentuale sale al 42% tra i prigionieri condannati a morte. Il 32% dei minori in carcere ha la pelle scura; idem il 45% degli arrestati per crimini legati allo spaccio di droga. I numeri relativi al mercato del lavoro non sono migliori: se la percentuale della disoccupazione media degli Stati Uniti si aggira intorno al 7,6%, tra gli uomini afroamericani sale al 15% e fra le donne al 13. Insomma, pare che in pochi abbiano dimenticato il leggendario discorso di King, ma in molti in America hanno scordato la sua lista di priorità. Il lavoro in primis.