SCIENZA / La sedia a rotelle controllata con la mente

È l’impresa compiuta da una scimmia grazie a una neuroprotesi impiantata nel cervello

Cosa hanno da spartire una sedia a rotelle con motore elettrico e una scimmia della specie “macaco”? Nulla, verrebbe da dire di getto. Ma non è così. Ci potrebbe capitare, infatti, di imbatterci in una scena surreale, ma… realissima! Vedremmo allora la simpatica scimmia, nelle vesti di uno spericolato “pilota”, guidare con la sola mente, in modalità wireless, la carrozzina elettrica su cui è seduta e riuscire così a compiere un breve percorso, in un ambiente chiuso, per raggiungere un cesto di gustosissima frutta! No, non si tratta di fantasia galoppante, ma di un recente esperimento (pubblicato sulla rivista “Scientific Reports”), condotto con successo dal team di Miguel Nicolelis, della Duke University a Durham, nel North Carolina, e da colleghi brasiliani e statunitensi. In sintesi, dunque, grazie ad una neuroprotesi impiantata nel cervello, alcuni macachi sono riusciti a guidare in modalità wireless una sedia a rotelle motorizzata, spostandosi da una stanza all’altra e raggiungendo intenzionalmente della frutta. Il risultato ottenuto rappresenta sicuramente un importante progresso, in vista della realizzazione di dispositivi che possano rendere sempre più autonomi nei movimenti i soggetti paraplegici o tetraplegici.

Ma scendiamo un po’ più nei particolari dell’incredibile esperimento. Le neuroprotesi sono dispositivi in grado di “raccogliere” l’attività cerebrale di un soggetto – mediante alcuni elettrodi impiantati nel cranio – e di tradurla nel movimento di un arto meccanico. Negli ultimi anni, la ricerca in questo settore – in cui il gruppo di Nicolelis vanta una consolidata esperienza e competenza – ha fatto enormi progressi, ma mai prima d’ora si era tentato di sfruttare questo tipo di interfacce neurali per provare a muovere un corpo intero nello spazio. Un’attività del genere, infatti, richiede un notevole salto di qualità nella decodifica dei segnali neurali associati alla percezione visivo-spaziale di un soggetto e alla sua intenzione di muoversi in una certa direzione.

I ricercatori del team sono partiti dall’idea di collegare l’interfaccia neurale (già sviluppata in passato) a una sedia a rotelle, cioè al principale ausilio per gli spostamenti impiegato dalle persone con danni spinali. La scelta inoltre è stata motivata dal risultato di altre ricerche, secondo cui fino al 70% dei soggetti paralizzati sarebbe disposto a sottoporsi ad un impianto neurale permanente, a patto che esso consenta un maggior controllo dei dispositivi di deambulazione. Oggi, i modelli più evoluti di sedia a rotelle sono dotati di motore elettrico e possono essere guidati con la sola mano, muovendo un joystick. L’obiettivo dei ricercatori, quindi, era abbastanza semplice, almeno in linea di principio: bypassare la mano e il joystick e collegare direttamente il cervello dell’utente con i circuiti elettrici del sistema di guida della sedia. In una prima fase dell’esperimento, Nicolelis e colleghi hanno utilizzato alcuni esemplari di “macaco rhesus”, inserendo nella loro corteccia cerebrale un impianto permanente di elettrodi. In seguito, quegli animali sono stati addestrati a guidare una normale sedia a rotelle motorizzata in un ambiente chiuso, per raggiungere della frutta. Grazie agli elettrodi innestati, quindi, i ricercatori sono riusciti a registrare e decodificare degli schemi di attivazione neurale durante tutte le fasi dell’addestramento. Nella seconda fase dell’esperimento, il team ha collegato la protesi neurale, opportunamente programmata secondo le istruzioni ricavate nella prima fase, direttamente e in modalità wireless, al sistema di guida della sedia, abituando però le scimmie a fare a meno del joystick. Col tempo, gli animali hanno imparato a gestire in modo soddisfacente la sedia a rotelle per raggiungere la frutta, anche partendo da una certa distanza, dimostrando così la capacità dell’interfaccia neuroprotesica di correlare correttamente i segnali cerebrali specifici all’intenzione di raggiungere l’obiettivo, alla risposta agli input ambientali e al movimento dell’intero corpo nello spazio. Questo incredibile esperimento, condotto con successo, apre dunque interessanti prospettive nell’applicazione di interfacce neuroprotesiche al movimento dell’intero corpo, rafforzando la speranza che, in un futuro non troppo lontano, essa possano essere utilizzate anche nei soggetti umani con problemi di movimento degli arti.