Parla a ruota libera Salvatore Borsellino, davanti ai trecento studenti giunti per ascoltarlo nella chiesa di San Domenico. Ormai abituato a “svegliare le coscienze” dei più giovani, molti dei quali neppure hanno memoria della strage di mafia in cui perse la vita il fratello Paolo, non ha esitazioni se non qualche increspatura nella voce quando di parla di quel tragico pomeriggio del 19 luglio 1992.
«Sono stato zitto per tanti anni, poi finalmente ho capito che occorre agire individualmente, non aspettare che altri agiscano per noi: questo è l’errore che ho fatto io, e non dovrete farlo voi».
Salvatore Borsellino, fratello minore del magistrato ucciso proprio per le sue inchieste per smantellare la criminalità organizzata, racconta ai ragazzi e ai loro insegnanti, oltre alle persone arrivate per ascoltarlo, la scelta di lasciare Palermo per trasferirsi a Milano per lavoro: «L’ho fatto anche perchè quella città non mi piaceva più, era la nostra conca d’oro, e invece era diventata preda di meccaniscmi meschini, ricattatori, criminali. Paolo pensava la stessa cosa, però come atto d’amore decise di restare: per cambiarla quella città».
I ragazzi, accompagnati dai loro insegnanti, ascoltano l’energia di questo uomo che combatte, grida, si infervora perchè sia fatta luce sulla morte di suo fratello, perchè si scavi per trovare la verità. A partire da quell’agenda rossa, quella che il giudice portava sempre con sè, dove appuntava informazioni fondamentali per le sue indagini soprattutto dopo l’assassinio dell’amico e collega Giovanni Falcone. Quell’agenda che non fu mai ritrovata.
Tante ombre su quella sparizione, ombre che Salvatore, unico in vita dei quattro fratelli Borsellino, vuole portare alla luce. Per questo cammina avanti e dietro per San Domenico, sventolando un’agenda rossa, quale simbolo della verità, della legalità, della giustizia.
È così che dopo anni di silenzio e di riflessione il fratello del magistrato decide di fondare il Movimento delle Agende Rosse, quando il 15 luglio 2007 scrive la lettera intitolata “19 luglio 1992: una strage di Stato” nella quale afferma che la ragione principale della morte del fratello Paolo è da ricercarsi nell’accordo di non belligeranza stabilito tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra in seguito ad una trattativa fondata sul tritolo delle stragi in Sicilia del 1992 ed in continente del 1993. Salvatore chiede di avere delle risposte sulle omissioni delle più elementari misure di sicurezza in via D’Amelio il giorno della strage e di sforzare la memoria ad alcuni rappresentanti delle Istituzioni che incontrarono il fratello nelle sue ultime settimane di vita e che pertanto conoscono elementi fondamentali per ricostruire lo scenario in cui maturò l’accelerazione della fase esecutiva dell’eccidio.
«Basta indifferenza, ho commesso anch’io quest’errore, non dobbiamo più farlo, dobbiamo combattere insieme». Cita di nuovo le parole del fratello Paolo, lo evoca, a tratti è come si sentisse in colpa per averlo «guardato lavorare a oltre mille chilometri di distanza».
«A scuola non ve le insegnano certe cose – dice ai ragazzi guardandoli fissi negli occhi, – dovete pretendere che alcune cose cambino e conoscere la storia, soprattutto quella recente. Dovete avere ottimismo, come quello che aveva Paolo: io non lo ricorderò ma sono certo che se combatterete e resterete a difendere il vostro Paese riuscirete a renderlo migliore.
Nel pomeriggio, sempre in San Domenico, Salvatore Borsellino ha presentato il libro “La Repubblica delle Stragi” edito da Paper First, alla presenza degli autori: Stefano Mormile fratello di Umberto Mormile ucciso dalla’ndragheta nel 1990, Giovanni Spinosa presidente del Tribunale di Ancona che da PM si occupò del caso della Uno Bianca, Fabio Repici avvocato di Salvatore Borsellino e di tanti altri familiari di vittime di mafia, e Federica Fabretti, del Movimento delle Agende Rosse.
All’incontro ha voluto portare il proprio saluto anche il vescovo Domenico: «La presenza di un vento come questo in una chiesa potrebbe sembrare strudente – ha detto monsignor Pompili, – tuttavia non lo è affatto, poichè Paolo Borsellino, come mi ha confidato il fratello, non era solo un uomo di giustizia ma anche un uomo di fede».