Rieti e la frattura culturale

Che lo si voglia ammettere o meno, in città vivono due “culture”: il progetto di ingegneria culturale che gli enti perseguono da tempo, e quella che i cittadini realmente vivono e alimentano.

Cos’è la cultura? La domanda è certamente tra le più impegnative. Si può abbozzare una risposta dicendo che è l’insieme degli usi, delle consuetudini e dei saperi di una società. Ma è anche la consapevole comprensione di questo intreccio di costumi e conoscenze. Senza contare che si può ragionare di cultura in termini spirituali, materiali, intellettuali, scientifici, emozionali…

Un tema grande insomma. A volerci mettere le mani, dovrebbero «tremar le vene e i polsi». Eppure, dando il tutto un po’ per scontato, sono diversi i soggetti, pubblici e privati, che senza farsi troppi problemi si propongono di “fare” cultura o politiche culturali. Chissà: forse sono convinti che certe complicazioni si possano semplicemente rimuovere, magari con un po’ di senso pratico.

A Rieti ad esempio, si direbbe che per gli enti e le istituzioni la cultura sia soprattutto (o sostanzialmente) un modo di fare promozione, marketing, sviluppo. Cioè soldi.

Una impostazione che non sembra cambiare troppo al variare del colore politico di chi occupa i Palazzi.

In piena sintonia su questo atteggiamento, infatti, troviamo anche i nuovi addetti alle culture del Comune di Rieti. In una conferenza stampa attorno al proprio programma sulla città, hanno spiegato di voler far leva su una «attività di branding che ne renda possibile la commercializzazione turistica». Le linee di intervento previste ovviamente sono molte, ma questo è il punto che è sembrato tenere in subordine tutto il resto.

Il proposito di una azione mirata alla crescita morale e intellettuale dei cittadini, a favorire un senso di cittadinanza più profondo e consapevole, ad agevolare il pieno sviluppo delle identità locali, sembra lasciato un po’ troppo tra le righe. Ci sbaglieremo, ma pare interessi soprattutto vendere.

Di conseguenza, cosa dovremo aspettarci? Che in qualche modo la città venga trasformata in una merce, sia pure culturale?

È vero che oggi l’attività culturale deve essere in grado di andare incontro alle richieste economiche della società, di intensificare la propria funzione industriale. Entro certi limiti non può sottrarsi a questa esigenza. Ma se si inizia a parlare di cultura e si finisce invariabilmente a parlare di soldi, qualcosa non quadra. Specie se si è convinti di essere rimasti in tema. Altrimenti occorrerà ammettere che denaro e cultura sono la stessa cosa.

Viene il sospetto che il problema sia una costante confusione tra i mezzi e gli scopi. Per accorgersene è sufficiente mettere da parte l’insopportabile tiritera del «basta che si facciano “le cose”». Allestire eventi e iniziative per scopi culturali, infatti, è cosa assai diversa dal promuoverli per far girare l’economia.

Ad uno sguardo distratto può sembrare che cambi poco, ma non è così. Il problema è lo stesso che si presenta quando l’indirizzo delle scelte urbanistiche non è lo sviluppo razionale della città: quello che dovrebbe tornare a vantaggio di tutti finisce con l’agevolare solo qualcuno.

In Comune si è detto di voler trasformare «la città da contenitore in contenuto». Paiono parole prese da «Frontiera». Le usavamo un paio di numeri fa esortando ad aiutare la cultura realmente locale a crescere. A Rieti non mancano esperienze originali, autonome, radicate. Qualche nome l’abbiamo già fatto e ce ne sarebbero ancora. Alcune proposte hanno dimostrato pure di possedere il tanto agognato potenziale turistico. Ma continuano a vivere in una sorta di città parallela, senza alcun interesse da parte di quelle istituzioni che hanno investito fin troppo in grandi eventi isolati, spesso di importazione.

Un atteggiamento, quest’ultimo, che rassomiglia a quello di chi crede che una rondine porti la primavera. Beh, per chi non lo sapesse, è la primavera che porta le rondini.

La città e la sua cultura sono fatte delle vite e dei pensieri di coloro che la abitano e producono idee, oggetti, iniziative e voglia di stare insieme. Una mano tesa verso i cittadini più creativi, attivi, affezionati alla città, dovrebbe essere la prima “linea guida” delle politiche culturali. Sanerebbe una frattura che si trascina da tempo. E molto di buono potrebbe venire in conseguenza.


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