Il recupero della cappella di San Rocco

La notizia della morte prematura della apprezzata restauratrice Cecilia Gugliandolo non ci coglie di sorpresa, ma ci addolora sinceramente. Da tempo malata, ha combattuto con dignità e tenacia la sua buona battaglia.

Vogliamo ricordarla ai lettori di «Frontiera», con umano rimpianto, per la competenza e l’amore manifesti nel suo lavoro, di cui resta testimonianza in cattedrale nella cappella di San Rocco, la seconda a cornu Epistulae, affidata nel XVI secolo alla compagnia dei Maestri lombardi.

Riallestita negli anni ’30 del XVII secolo, destinata nel 1966 ad accogliere la sepoltura di un Vescovo morto in concetto di santità, la cappella di San Rocco sottoposta alcuni anni or sono ad un impegnativo intervento di restauro che ha rivelato, al di sotto di uno spesso strato di scialbo, quanto rimane degli affreschi realizzati nel 1632 da Vincenzo Manenti, un artista sabino che dominò a lungo la scena artistica reatina, divulgando in provincia la lezione pittorica appresa nella capitale dello Stato alla scuola del Domenichino e del Cavalier d’Arpino.

Nel 2005, l’incarico di restaurare la cappella fu affidato da S.E. monsignor Delio Lucarelli proprio a Cecilia Gugliandolo, in collaborazione con Ihab Samy Nasseralla: al loro intervento si deve il consolidamento ed il recupero delle originali policromie degli stucchi nonché di una parte saliente dell’originale decorazione pittorica secentesca.

Lo stato di conservazione delle pitture era compromesso in particolare a causa delle infiltrazioni d’acqua piovana a cui per lunghi anni la cappella era stata esposta: i nitrati, i carbonati, i solfati avevano aggredito nel tempo ampi strati degli intonaci, provocandone il deterioramento e causando di conseguenza vaste lacune nella superficie affrescata.

Al fine di restituire coesione all’intonaco, inoltre, le pareti della cupola erano state scialbate ricoprendo l’intera superficie di un’opaca tinteggiatura color nocciola.

Compiute con pazienza e perizia le operazioni di consolidamento, pulitura e descialbo, risarcite per quanto possibile le lacune, si è reso possibile il recupero degli affreschi raffiguranti gli Evangelisti e le Storie di San Rocco.

Nei quattro pennacchi trapezoidali che sostengono l’innesto della cupola, le armoniose cornici mistilinee ornate da volute su cui sporgono deliziose testine di cherubini impaginano le immagini dei quattro Evangelisti, convenzionalmente ritratti da Vincenzo Manenti con i loro emblemi parlanti.

In particolare, San Marco poggia il capo sulla mano sinistra mentre tiene nella mano destra il vangelo. Ai suoi piedi è ritratto il leone che lo simboleggia. Memore della lezione di Caravaggio, Manenti ritrae San Matteo che si volge quasi di scatto al richiamo dell’angelo dal volto delicato che compare in volo alle sue spalle per dettargli il vangelo.

San Luca, con il bue alla sua sinistra, tiene in mano il cartiglio su cui ha annotato la sua testimonianza riguardo alla vita di Cristo. San Giovanni, accanto a cui è l’aquila, ha indosso un rosso mantello e rivolge intensamente lo sguardo al cielo.

Pur aderendo convenzionalmente ad una consolidata tradizione, l’interpretazione iconografica dei quattro Evangelisti presenta quegli spunti di vivacità, freschezza e facondia narrativa che costituiscono la cifra distintiva dell’arte manentiana, popolare ma mai vernacolare: li ritroviamo con scarse varianti nei pennacchi che sostengono la volta a cupola della cappella di San Francesco presso la chiesa di Santa Maria degli Angeli a Montopoli, nella chiesa parrocchiale di Mompeo, nella cappella dell’Assunta nella chiesa reatina di Sant’Antonio al Monte.

La cupola ellittica della cappella di San Rocco è arricchita da una elegante partitura in stucco: le fasce a rilievo scandiscono quattro spicchi, proponendo gli elementi di un apparato iconografico che ai nastri, ai volti dei cherubini, ai serti di frutti più usuali unisce i segnacoli che meglio si addicono a San Rocco, la conchiglia ed il cappello del pellegrino.

All’interno di quattro cornici ovali, modellate specularmente con ghirlande di fiori e valve di conchiglie, Vincenzo Manenti include le Storie del Santo, portando ad efficace sintesi gli episodi salienti della sua Vita, così come viene narrata dalle fonti agiografiche: la visita ai malati, la cura delle piaghe, il digiuno penitenziale nel deserto, l’elemosina di San Rocco.