Giornata Comunicazioni Sociali

«Raccontiamo la speranza e l’umanità»: il vescovo Domenico sul Messaggio del Papa ai comunicatori

Il dovere dei comunicatori verso la realtà, anche quando è complessa come ora, le chance per la Chiesa e i media cattolici. Il vescovo Domenico, a capo della Commissione Cei per la Comunicazione, rilegge il testo del Papa per la Giornata in un'intervista ad Avvenire

Insistere sulla necessità dell’incontro in un periodo nel quale meno ci si vede di persona meglio può apparire un controsenso: ma è proprio questo paradosso a rendere utile (e anche sorprendente) la lettura del Messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali 2021, diffuso sabato.

Lo facciamo con il presidente della Commissione episcopale per la Cultura e le Comunicazioni sociali monsignor Domenico Pompili, vescovo di Rieti e amministratore apostolico di Ascoli Piceno, nonché ex direttore dell’Ufficio Cei per le Comunicazioni sociali.

Che messaggio arriva da Francesco a chi fa informazione e a chi la consuma?

Agli uni e agli altri, lo stesso: stare in guardia da un certo appiattimento dell’informazione. Un fenomeno reale è quello che vede il “copia e incolla” delle stesse notizie attraversare un po’ tutti i media. Il messaggio per i giornalisti è non accontentarsi di quanto arriva nella casella di posta; il consiglio ai lettori è coltivare una maggiore consapevolezza rispetto ai meccanismi dei media. La pandemia sta mettendo alla prova la credibilità e la prossimità del sistema informativo: a suo parere, cosa sta emergendo? Il mondo dell’informazione durante la pandemia ha dato mediamente buona prova di sé. E se, talvolta, sono emerse contraddizioni sono state lo specchio di una situazione del tutto inedita e a volte difficile da comprendere. Quanto alla prossimità, mi viene in mente il grande lavoro fatto dai settimanali diocesani, che hanno intercettato e seguito tante storie sul territorio, senza nascondere le difficoltà, ma anche evidenziando elementi di prospettiva. Le più belle sono state raccolte dal sito memoriadelcovid.it. Quello che oggi sta emergendo è forse una certa stanchezza. Per uscirne basterebbe raccontare le cose che aiutano a modellare positivamente il futuro.

La Chiesa mette in opera uno straordinario sforzo di vicinanza alla gente: forse mai come ora “va e vede”, ma non sempre questo suo impegno diventa interessante per i media. Perché?

Me lo domando spesso anch’io. Forse guardano alla sfera religiosa come fosse una questione astratta, non comprendendo quanto essa abbia a che fare con le cose concrete e la vita delle persone. Poi c’è anche una questione di abitudine a incasellare le cose in un certo modo: politica, cronaca, sport, religione, ciascuna in un suo spazio circoscritto. Ma oggi il mondo è più complesso di qualche tempo fa e certi schemi non rendono giustizia alla realtà.

Le tecnologie digitali si sono guadagnate in questo tempo così difficile un molo determinante, anche per la Chiesa. Ma non finiremo con l’abituarci a non fare esperienza vera della vita e delle persone?

Ciascuno di noi già vive online e offline. La tendenza, peraltro, è a una sempre maggiore integrazione. Si tratta, semmai, di chiedersi come riuscire a vivere anche la fede in tutte e due le dimensioni, fermo restando che la liturgia non può essere surrogata dalla rete. Ma la preghiera personale, per contro, può trovare forme nuove e stimolanti anche dallo stare connessi.

Le parrocchie stanno sperimentando la fatica di tenere unita la comunità. Cosa ci dice il Messaggio del Papa su questo?

La fatica c’era anche prima. Di sicuro il virus l’ha resa manifesta. Ma il problema si risolve azzerando le distanze e perciò inventando forme di prossimità, anche grazie ai new media. Se è vero, ad esempio, che Facebook all’inizio fece ritrovare i vecchi compagni del liceo, perché il digitale non potrebbe essere un valido aiuto a ricompaginare la comunità? Ovviamente ci vuole creatività e duttilità, in giro solo i giovani ne hanno da vendere.

In famiglia e a scuola, ma anche negli oratori, l’uso delle tecnologie digitali rappresenta una sfida che non sempre gli educatori sono in grado di affrontare. Il Messaggio può ispirarli?

Il Papa sottolinea opportunità e insidie dei nuovi melia. Ogni cambio tecnologico, del resto, produce sempre una trasformazione umana. Esserne avvertiti è il primo passo. Farsi interpreti di questo cambiamento, come avvenne ad esempio col cinema nelle sale parrocchiali, mi sembra una sfida da raccogliere.

Nei mesi della pandemia le fake news hanno prosperato, anche tra i cattolici, che pure dovrebbero essere ‘vaccinati” dal Vangelo contro le verità apparenti. Che rimedio vede a questa tentazione?

Uno solo: educare alla verifica delle fonti, a fondare le affermazioni sui fatti, a colivare il dubbio. Le fake news sono sempre esistite, ma chi vi ricorre oggi ha un moltiplicatore potente nelle diverse piattaforme.

Che ruolo assegna oggi ai media cattolici, anche alla luce di quello che il Papa ci sta dicendo?

I media cattolici non sono diversi dagli altri, ma hanno una responsabilità in più: comunicare speranza e non alimentare la polemica e la divisione. Un risultato che non si ottiene con ragionamenti astratti, ma offrendo spazio alle storie di straordinaria umanità. La forza che vedo in tanti media cattolici è quella di poter essere popolari nel senso migliore del termine , cioè vicini alle persone, ai loro bisogni, alle loro aspettative.

Francesco Ognibene per avvenire.it