«Quo vadis, Domine?»: il Venerdì Santo a Contigliano

Chi, guardando alle attività della diocesi dalle Ceneri alla Pasqua, allunga lo sguardo verso la Settimana Santa, non può tralasciare la ricca esperienza della Processione del Cristo morto di Contigliano.  Una tradizione quasi millenaria, capace però di rinnovarsi e di riuscire ogni anno attuale.  Quest’anno la tradizionale processione sarà seguita dalla rappresentazione del dramma sacro “Quo vadis, Domine?”, un tentativo di interrogare l’uomo di oggi sui temi fondamentali della fede.

«Oggi si struttura come una rievocazione ben articolata», ci spiega il parroco di Contigliano, mons. Ercole La Pietra. «E sono tanti anni che abbiamo provato a farla a tema, provando ad andare oltre la semplice lettura del Vangelo. Non perché il Vangelo non sia sufficiente, ma per tentare di rispondere a una serie di domande: oggi Cristo muore per… chi, per che cosa, in quali situazioni?». La rappresentazione, insomma, punta a interrogare l’uomo di oggi, a muoversi su uno sfondo attuale. E questo, per forza di cose, è in gran parte fatto dal terremoto, anche se don Ercole esclude qualsiasi riferimento diretto, qualunque legame con la cronaca: «Vogliamo restare su un livello più universale e astratto». Quest’anno si prova a rispondere a un interrogativo coraggioso: “Cristo è risorto davvero, o no?”. «Ci sta a cuore di parlare più di vita che di morte, vogliamo parlare di risurrezione», ci dice ancora mons La Pietra. E qui sta il legame con le zone colpite dal sisma, perché, partendo da alcune inquietudini che pone la risurrezione di Gesù Cristo, è facile intravedere sullo sfondo uno scenario da “zona rossa” e la domanda che rimane aperta attorno al futuro delle aree terremotate.

Insieme a questo, l’intera preparazione della rappresentazione è un percorso di catechesi. I giovani partecipano volentieri all’allestimento ed è necessario offrire loro dei contenuti. Nella preparazione ci sono mille spiegazioni sul significato di ogni passo del Vangelo: «Così è possibile usare la messa in scena come strumento pastorale – conclude don Ercole – del resto io faccio il prete, mica l’impresario. Mi preme l’esigenza di trasmettere un’idea cristiana del vivere e del morire. In relazione al Venerdì santo e alla Risurrezione».