Quesito tra amici: «Al nostro posto ricorreresti all’eterologa?»

Cari amici sposi, in tutta sincerità credo di no, non ricorrerei all’eterologa, che per varie ragioni giudico inadeguata all’altezza della dignità del vostro amore e di quella del bimbo che verrebbe all’esistenza. L’amore sponsale autentico è capace di trovare molti modi per esprimersi e lasciare traccia di sé, anche oltre la possibilità di generare un figlio.

“Che faresti al posto nostro? Ricorreresti all’eterologa?”. Potrebbe capitare, in Italia o nel resto del mondo, che una coppia di sposi amica, sinceramente desiderosa di avere un figlio che non arriva nonostante ogni tentativo ed ausilio, in un clima di fiduciosa confidenza e condivisione, ci ponga un interrogativo così grave e profondo. Un interrogativo che, forse, spingerebbe chi lo riceve a prendersi un tempo sufficiente di riflessione prima di dare una risposta, a considerare il problema in una prospettiva diversa da quella stereotipa (e in genere sterile) delle tante dispute ideologiche. In questo contesto, probabilmente, più che elucubrare su principi e verità, verrebbe più spontaneo partire dalla prossimità umana a quegli sposi che, dopo aver scelto l’amore coniugale come impegno reciproco per la vita, anelano dal profondo a vederne il riflesso sul viso radioso di un figlio che viene al mondo. Un figlio tanto atteso, ma che non arriva.

E, talvolta, anche un desiderio buono in sé può divenire struggente, fino a sfuggire di mano e finire, nel tempo, per logorare la serenità della coppia. È allora che ogni tentativo di dare soluzione a quest’ansia potrebbe apparire giustificabile, anche il ricorso alla fecondazione eterologa. Ma senza celare il permanere di importanti dubbi.

“Che faresti al posto nostro? Ricorreresti all’eterologa?”. Non è facile dare immediatamente una risposta compiuta che non assomigli troppo ad una “sentenza” preconfezionata, ad una sbrigativa e semplicistica risposta senza l’ascolto previo della vera domanda d’aiuto e, soprattutto, dell’animo di chi la pone. Quell’interrogativo formulato in modo apparentemente banale, infatti, può lasciar trasparire un drammatico grido di sofferenza non espresso in modo esplicito, ma del tutto bisognoso di essere raccolto. In più, il fatto di chiedere un confronto ad un amico su un tema così delicato ed intimo significa, in qualche modo, accettare il rischio di esporsi al fraintendimento, al facile giudizio, alle banalizzazioni, come anche di lasciar trapelare tutta la propria fragilità ed angoscia del momento. Anche l’essere francamente disponibili all’ascolto e al consiglio, dunque, richiede tanta attenzione e delicatezza, per non acuire involontariamente il dolore di chi è già ferito. No, non è per niente facile rispondere seriamente ad una richiesta così.

Certo, senza dubbio sono tanti i problemi – etici, tecnici, giuridici, economici, ecc. – connessi a queste tecniche riproduttive che richiedono di essere valutati ed affrontati. Non si tratta certo di una passeggiata da vivere con rilassata superficialità. Alcuni di questi problemi poi, specie sotto il profilo antropologico e morale, pesano come macigni e, a giudizio di molti, risultano insormontabili. E tra questi aspetti problematici spiccano, in quanto preminenti, quelli relativi al neoconcepito e ai suoi diritti.

Ma intanto, ancor prima di tutto ciò, c’è un fatto certo ed immediato: la profonda sofferenza esistenziale di due sposi desiderosi di genitorialità che chiede, in maniera più o meno esplicita, di essere accolta, compresa e sostenuta, senza (pre)giudizi. Come ricorda l’Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo sulla famiglia, uno sguardo compassionevole e comprensivo “è quello che consente alla Chiesa di accompagnare le famiglie come sono nella realtà e a partire da qui annunciare il Vangelo della famiglia secondo le loro specifiche necessità” (IL 31). Dunque, solo dopo avere preso coscienza di questo ed essersi messi “accanto” agli sposi sofferenti per la frustrazione del loro desiderio di genitorialità, verrà anche il momento di ragionare sulle varie problematiche legate alle procedure di fecondazione eterologa, alla ricerca di soluzioni concrete, sensate e coerenti con i valori antropologici ed etici assunti.

“Che faresti al posto nostro? Ricorreresti all’eterologa?”. Cari amici sposi, in tutta sincerità credo di no, non ricorrerei all’eterologa, che per varie ragioni giudico inadeguata all’altezza della dignità del vostro amore e di quella del bimbo che verrebbe all’esistenza. Ma lasciate comunque che vi abbracci, con la vostra ferita sanguinante, fiducioso che potrà guarire. L’amore sponsale autentico è capace di trovare molti modi per esprimersi e lasciare traccia di sé, anche oltre la possibilità di generare un figlio.