E con il Nobel a Louise Glück siamo al dodicesimo statunitense (viene prima la Francia con 15) e a trenta di lingua inglese. I nostri sono sei, ma se consideriamo che l’inglese è una lingua universale, allora non ci possiamo lamentare. Anche se la nostra è pur sempre la lingua di Dante, uno dei grandi, anzi, secondo alcuni il più grande. Ma, come si sa, non si vive di soli ricordi. Un premio così ambito, nonostante il rifiuto “ideologico” di Sartre e di pochi altri, non può non scontentare molti. Le accuse che via via sono state portare all’ultracentenario riconoscimento (il primo ci fu nel 1901) sono state quelle di cedere alle correnti di pensiero dominanti, di premiare scrittori sostenuti dai grandi editori, o, al contrario, scrittori sconosciuti o conosciuti solo a casa loro perché la giuria non s’era messa d’accordo sui grandi.
E i nostri, i sei nostri? Ovviamente neanche quelle scelte sono state esenti da critiche: Giosue’ Carducci, insignito del premio nel 1906, era stato un campione di anticlericalismo, e per di più massone, (le sue convinzioni cambiarono in parte nel corso degli anni) il che rinforzò in alcuni l’idea della letteratura come scelta di campo e non come distaccata -o appassionata- visione del mondo sgombra da pregiudizi, in un momento in cui si tentava il ritorno dei cattolici alla politica dopo il Non expedit del 1868. Anche se il poeta cantò il fascino e l’importanza civile delle antiche chiese medioevali, quando in Italia vi erano solo barbari e caos politico. Abbiamo dovuto aspettare vent’anni prima di avere un altro Nobel dentro casa, tra l’altro il secondo ad una donna dopo la svedese Selma Lagerlöf nel 1909, nella persona di Grazia Deledda.
Alcuni ebbero da ridire: ma come, il massimo premio internazionale ad una scrittrice “regionale”? Gli scontenti non potevano sapere che in realtà quel Nobel premiava finalmente la voce della campagna, degli sfruttati, dei nobili in decadenza e delle donne coraggiose e che arrivava in anticipo sui tempi: oggi la critica militante è attenta ai racconti della cultura e delle tradizioni dei paesi d’origine degli scrittori. Non c’è solo la città da narrare. Era anche un omaggio ad una donna (in tempi in cui l’emancipazione femminile era vista come una scandalosa minaccia) che sia in Sardegna che a Roma, dove si era trasferita dopo il matrimonio, aveva eletto la semplicità come stile di vita. Nonostante il Nobel.
Otto anni dopo fu il gran “nemico” Pirandello (che aveva messo in ridicolo la posizione subordinata del coniuge nel romanzo “Suo marito”) a ricevere il premio, e che però, era la prima volta che accadeva, non pronunciò il rituale discorso: il che fu interpretato in vari modi, da una velata critica al fascismo alla sua coerenza per aver definito “pagliacciate” i clamori mediatici alla notizia dell’assegnazione e per aver sempre sostenuto, soprattutto nel suo dramma “Quando si è qualcuno”, l’irrilevanza di gloria e premi.
Dopo una pausa di 25 anni, ecco che a Stoccolma viene chiamato un altro italiano, e un altro cantore della propria isola, stavolta la Sicilia: Salvatore Quasimodo. Se si pensa che nel 1975 fu Eugenio Montale ad essere insignito del Nobel, se ne potrebbe dedurre il trionfo dell’ermetismo, se non fosse che Montale, accostato a torto a quella corrente, è semmai prossimo ad una metafisica della poesia (lo sguardo sul mondo) e che l’iniziatore di quella che poi sarebbe divenuta la corrente ermetica, Ungaretti, era stato clamorosamente “lisciato” dalla giuria di Svezia.
Inutile dire che quando nel 1997 venne premiato Dario Fo per la continuazione della tradizione dei “giullari medioevali”, le polemiche fioccarono, soprattutto perché Fo non era uno scrittore nel senso tradizionale. Ma neanche i giullari lo erano, eppure fanno parte della storia della letteratura.
Ma se è per questo il Nobel a Bob Dylan ha scatenato fuochi e fiamme: ma come, il più importante riconoscimento letterario a un cantante? Evidentemente i contestatori non si erano presi la briga di leggere i testi di “Masters of war” o di “Chimes of freedom”, altrimenti non staremmo qui a scriverne.
dal Sir