Prestito della speranza. Grande è il valore della “parola data”

Franco Pau, presidente dell’associazione di “volontari bancari per le iniziative nel sociale” spiega il ruolo di accompagnamento per quanti fanno ricorso a questo strumento creditizio promosso dalla Cei: “I volontari mettono a disposizione la loro esperienza ponendosi a fianco delle persone per valutare la tipologia del bisogno, in che modo sia possibile superare la fase di difficoltà e restituire il prestito”.

Un aiuto per “superare il bisogno contingente” e recuperare un’autonomia. È la logica che anima il “Prestito della speranza 3.0”, progetto avviato nel 2009 dalla Chiesa italiana e che da pochi giorni è partito con una terza fase, regolata da una convenzione tra Cei, Intesa Sanpaolo e Banca Prossima (la banca del Gruppo Intesa dedicata al no profit), in collaborazione con Caritas Italiana e Associazione Vobis. Ne parliamo con Franco Pau, presidente di Vobis, associazione di “volontari bancari per le iniziative nel sociale”.

Innanzitutto, cos’è Vobis e quale il suo impegno nel “Prestito della Speranza”?

“Vobis è un’associazione, senza scopo di lucro, con 11 sezioni territoriali in tutt’Italia e 350 volontari, ex bancari che vi apportano gratuitamente la professionalità acquisita in anni di lavoro. Nel ‘Prestito della speranza’ Caritas e Vobis hanno ruoli complementari e svolgono un compito propedeutico a quello della banca. I nostri volontari mettono a disposizione la loro esperienza ponendosi a fianco delle persone per valutare la tipologia del bisogno, in che modo sia possibile superare la fase di difficoltà e di conseguenza restituire il prestito”.

Quali sono i requisiti necessari per accedere al prestito?
“Lo scopo è favorire l’accesso al credito a chi non avrebbe possibilità di ottenerlo per le vie ordinarie e permettere a chi riceve questo aiuto di recuperare la sua autonomia gestionale. È bene ricordare che il finanziamento – con un massimo di 7.500 euro come ‘credito sociale’ per le famiglie disagiate e 25.000 euro per le microimprese – viene commisurato alle richieste del richiedente e gli interlocutori, in questo caso Caritas e Vobis, esaminano la natura del bisogno, valutano se corrisponde alla ‘ratio’ del ‘Prestito della speranza’ e la sostenibilità del richiedente. Ricordiamo che, seppure a condizioni agevolate e con rate minime, non si tratta di un dono ma di un prestito. In alcuni casi è bene non far ricorso a questo strumento perché potrebbe generare nel beneficiario una condizione di sovraindebitamento, oppure creare in lui condizioni di oggettiva incapacità di gestire il debito. Anche a questo servono la nostra valutazione e il nostro accompagnamento”.

Non si tratta, quindi, di aiuti “a fondo perduto”…
“Assolutamente no, ed è bene sottolinearlo. Situazioni di bisogno senza una prospettiva di tornare alla normalità attraverso il ‘Prestito’ vanno certamente aiutate, ma occorre indirizzarle verso supporti a fondo perduto, come normalmente si verifica nelle forme di assistenza promosse da Caritas e altri enti di assistenza sociale. Il ‘Prestito della speranza’ non sostituisce, ma integra le attività previste nel sistema degli aiuti sociali”.

A cosa serve il Fondo di garanzia istituito dalla Cei presso Intesa Sanpaolo?
“Il Fondo di garanzia serve non soltanto per coprire il rischio creditizio, ma soprattutto consente di ridurre i tassi d’interesse rendendoli meno onerosi: circa il 2,50% per il credito sociale e 4,5% per le piccole e medie imprese. Inoltre la banca, a fronte di un Fondo iniziale di 25 milioni di euro, si è impegnata a erogare 100 milioni”.

Oltre alla valutazione per la concessione del prestito, voi accompagnate i soggetti interessati anche dopo…
“Aiutiamo a presentare la domanda, poi a impostare il progetto. Se ci viene richiesto, possiamo dare una mano anche nel riassetto del bilancio familiare e nella predisposizione del piano economico-finanziario dell’impresa da avviare. Nel credito sociale, inoltre, verifichiamo che permangano le condizioni per l’erogazione delle singole rate. È però fondamentale quel rapporto di reciproca fiducia che s’instaura con le persone accompagnate: la ‘parola data’ è spesso più stringente di qualunque formale garanzia bancaria”.

Nei cinque anni passati, quale “risposta” vi è stata in termini di restituzione dei soldi concessi in prestito?

“Abbiamo fatto un’indagine conoscitiva tra le 2mila persone che hanno beneficiato del prestito presso Intesa Sanpaolo ed è emerso un grande risultato: quasi il 90% degli intervistati dichiara che il ‘Prestito della speranza’ gli ha permesso di ritrovare una situazione di equilibrio e più dell’80% ha raggiunto l’obiettivo per cui era stato richiesto il finanziamento. Purtroppo il 21%, nonostante il supporto, non ha trovato un lavoro con regolare contratto. Eppure l’andamento delle sofferenze è stato inferiore. Questo significa che il piano di ammortamento, con un impegno mensile inferiore a 150 euro, consente di farvi fronte anche da parte di chi non sia riuscito a raggiungere una condizione ottimale”.

E se qualcuno non ce la fa a pagare?

“La mancata restituzione di un prestito fa scattare la segnalazione d’insolvenza alla centrale rischi. Pertanto è importante dire dei ‘no’ quando serve: non per lasciare un problema senza soluzione, ma perché si eviti di gravare chi richiede il prestito di responsabilità più grandi di lui. Di questo noi ci preoccupiamo, aiutando la persona debole e favorendone, quando è possibile, l’inclusione sociale”.