Pompei per tutti, tranne…

Paradosso: mostre di successo in tutto il mondo, mentre si contano i crolli

“Si informa che la riapertura al pubblico della Villa dei Misteri è stata posticipata al prossimo 22 marzo, per consentire l’ultimazione degli interventi di restauro degli apparati decorativi, che hanno subito ritardi a causa di condizioni meteorologiche e climatiche eccezionalmente avverse”. È l’annuncio che compare sul sito della Soprintendenza Speciale dei Beni Archeologici Pompei-Ercolano-Stabia. La Villa dei Misteri è una villa di epoca romana situata poco fuori le mura di Pompei, con affreschi e decorazioni che rappresentano una testimonianza unica della vita sociale dell’antica città.

Sullo stesso sito, si dà notizia del fatto che fino al 5 aprile 2015 chi capita dalle parti del National Museum di Seul, in Corea, può visitare la mostra “Pompeii: culture of the ancient roman city”, composta da 300 reperti provenienti dai siti archeologici vesuviani di Pompei, Ercolano, Stabia, Oplontis e Boscoreale e dal Museo Archeologico Nazionale di Napoli, che sta registrando 70mila visitatori a settimana. Non è la prima mostra internazionale che ha riguardato Pompei negli ultimi anni. Ha iniziato nel 2013 il British Museum di Londra, con la mostra “Life and death in Pompei and Herculaneum”, con 450 reperti. Un successo straordinario, che è divenuto anche un business. Nel 2015 e nel 2016, Pompei sarà in scena in Canada, presso il Royal Ontario Museum di Toronto e presso il Museum of Fine Art di Montreal.

Mentre i tesori di Pompei girano il mondo, da noi si contano i crolli. Trenta negli ultimi 5 anni. Il più grave, quello della Schola Armatorum, del dicembre del 2010, poi quelli che hanno riguardato il Tempio di Venere, la Tomba di Lucius Publicius Syneros e una bottega di via di Nola. Dopo l’ultimo smottamento di terreno, a febbraio di quest’anno – che ha colpito parte del giardino della Casa di Severus – il Ministro dei Beni Culturali, Dario Franceschini, ha dichiarato in Parlamento che “sono stati banditi interventi per 96,2 milioni di euro”, precisando che “Pompei sarà sempre un cantiere aperto; sono 66 ettari, di cui 44 già scavati e 22 da scavare, esposti a cielo aperto. È evidente che questo tipo di sito, di queste dimensioni, comporterà sempre un grande sforzo di manutenzione”. L’avevano già detto i Borboni nel 1738 – quando diedero inizio agli scavi per un intento limitato, quello di arricchire di oggetti preziosi il Museo di Portici – che Pompei sarebbe stato un cantiere aperto, ma sotto il loro regno, nonostante le piogge fossero di consistenza analoga o superiore a quella dei tempi moderni, non si verificavano crolli. Forse perché loro – i Borboni – comprendevano che per preservare un “museo a cielo aperto” è necessario far svolgere opera costante di manutenzione e riparazione.

L’Italia del terzo millennio, invece – dopo aver dimostrato in questi decenni come si può produrre l’incuria e il degrado rispetto ad un patrimonio dell’umanità – si affida al “cuore tenero” di Bruxelles. È da lì, dai fondi europei, che provengono i quasi 100 milioni di cui parla il ministro dei Beni Culturali. Sempre che si sia in grado di spenderli entro quest’anno. Altrimenti, si imporrà il commissariamento.

Va molto di moda l’espressione “poli culturali”. Se ne vorrebbero creare tanti, soprattutto al Sud, dove – come si sa – i resti delle cose antiche hanno come tetto il cielo. Allora, varrebbe la pena – visto come vanno le cose – rivolgere al Cielo qualche preghiera in più, perché faccia piovere di meno.